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sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa».

Così Beatrice; e quelle anime liete si fero spere sopra fissi poli,

fiammando, volte, a guisa di comete.

E come cerchi in tempra d'orïuoli si giran sì, che 'l primo a chi pon mente quïeto pare, e l'ultimo che voli; così quelle carole, differentemente danzando, de la sua ricchezza mi facieno stimar, veloci e lente.

Di quella ch'io notai di più carezza vid' ïo uscire un foco sì felice, che nullo vi lasciò di più chiarezza; 427

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

e tre fïate intorno di Beatrice

si volse con un canto tanto divo, che la mia fantasia nol mi ridice.

Però salta la penna e non lo scrivo: ché l'imagine nostra a cotai pieghe, non che 'l parlare, è troppo color vivo.

«O santa suora mia che sì ne prieghe divota, per lo tuo ardente affetto da quella bella spera mi disleghe».

Poscia fermato, il foco benedetto a la mia donna dirizzò lo spiro,

che favellò così com' i' ho detto.

Ed ella: «O luce etterna del gran viro a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, ch'ei portò giù, di questo gaudio miro, tenta costui di punti lievi e gravi, come ti piace, intorno de la fede, per la qual tu su per lo mare andavi.

S'elli ama bene e bene spera e crede, non t'è occulto, perché 'l viso hai quivi dov' ogne cosa dipinta si vede;

ma perché questo regno ha fatto civi per la verace fede, a glorïarla,

di lei parlare è ben ch'a lui arrivi».

Sì come il baccialier s'arma e non parla fin che 'l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla, così m'armava io d'ogne ragione

mentre ch'ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione.

«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: fede che è?». Ond' io levai la fronte in quella luce onde spirava questo; 428

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte sembianze femmi perch' ïo spandessi l'acqua di fuor del mio interno fonte.

«La Grazia che mi dà ch'io mi confessi», comincia' io, «da l'alto primipilo, faccia li miei concetti bene espressi».

E seguitai: «Come 'l verace stilo ne scrisse, padre, del tuo caro frate che mise teco Roma nel buon filo, fede è sustanza di cose sperate

e argomento de le non parventi;

e questa pare a me sua quiditate».

Allora udi': «Dirittamente senti, se bene intendi perché la ripuose tra le sustanze, e poi tra li argomenti».

E io appresso: «Le profonde cose

che mi largiscon qui la lor parvenza, a li occhi di là giù son sì ascose, che l'esser loro v'è in sola credenza, sopra la qual si fonda l'alta spene; e però di sustanza prende intenza.

E da questa credenza ci convene

silogizzar, sanz' avere altra vista: però intenza d'argomento tene».

Allora udi': «Se quantunque s'acquista giù per dottrina, fosse così 'nteso, non lì avria loco ingegno di sofista».

Così spirò di quello amore acceso; indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa d'esta moneta già la lega e 'l peso; ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa».

Ond' io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, 429

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

che nel suo conio nulla mi s'inforsa».

Appresso uscì de la luce profonda che lì splendeva: «Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda, onde ti venne?». E io: «La larga ploia de lo Spirito Santo, ch'è diffusa in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia, è silogismo che la m'ha conchiusa acutamente sì, che 'nverso d'ella ogne dimostrazion mi pare ottusa».

Io udi' poi: «L'antica e la novella proposizion che così ti conchiude, perché l'hai tu per divina favella?».

E io: «La prova che 'l ver mi dischiude, son l'opere seguite, a che natura non scalda ferro mai né batte incude».

Risposto fummi: «Dì, chi t'assicura che quell' opere fosser? Quel medesmo che vuol provarsi, non altri, il ti giura».

«Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo», diss' io, «sanza miracoli, quest' uno è tal, che li altri non sono il centesmo: ché tu intrasti povero e digiuno

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