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«Altra risposta», disse, «non ti rendo se non lo far; ché la dimanda onesta si de' seguir con l'opera tacendo».

Noi discendemmo il ponte da la testa dove s'aggiugne con l'ottava ripa, e poi mi fu la bolgia manifesta:

e vidivi entro terribile stipa

di serpenti, e di sì diversa mena che la memoria il sangue ancor mi scipa.

Più non si vanti Libia con sua rena; ché se chelidri, iaculi e faree

produce, e cencri con anfisibena, né tante pestilenzie né sì ree

mostrò già mai con tutta l'Etïopia né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.

Tra questa cruda e tristissima copia corrëan genti nude e spaventate,

sanza sperar pertugio o elitropia: 108

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda e 'l capo, ed eran dinanzi aggroppate.

Ed ecco a un ch'era da nostra proda, s'avventò un serpente che 'l trafisse là dove 'l collo a le spalle s'annoda.

Né O sì tosto mai né I si scrisse, com' el s'accese e arse, e cener tutto convenne che cascando divenisse;

e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa e 'n quel medesmo ritornò di butto.

Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; erba né biado in sua vita non pasce, ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, e nardo e mirra son l'ultime fasce.

E qual è quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch'a terra il tira, o d'altra oppilazion che lega l'omo, quando si leva, che 'ntorno si mira tutto smarrito de la grande angoscia ch'elli ha sofferta, e guardando sospira: tal era 'l peccator levato poscia.

Oh potenza di Dio, quant' è severa, che cotai colpi per vendetta croscia!

Lo duca il domandò poi chi ello era; per ch'ei rispuose: «Io piovvi di Toscana, poco tempo è, in questa gola fiera.

Vita bestial mi piacque e non umana, sì come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana».

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

E ïo al duca: «Dilli che non mucci, e domanda che colpa qua giù 'l pinse; ch'io 'l vidi uomo di sangue e di crucci».

E 'l peccator, che 'ntese, non s'infinse, ma drizzò verso me l'animo e 'l volto, e di trista vergogna si dipinse;

poi disse: «Più mi duol che tu m'hai colto ne la miseria dove tu mi vedi,

che quando fui de l'altra vita tolto.

Io non posso negar quel che tu chiedi; in giù son messo tanto perch' io fui ladro a la sagrestia d'i belli arredi, e falsamente già fu apposto altrui.

Ma perché di tal vista tu non godi, se mai sarai di fuor da' luoghi bui, apri li orecchi al mio annunzio, e odi.

Pistoia in pria d'i Neri si dimagra; poi Fiorenza rinova gente e modi.

Tragge Marte vapor di Val di Magra ch'è di torbidi nuvoli involuto;

e con tempesta impetüosa e agra

sovra Campo Picen fia combattuto; ond' ei repente spezzerà la nebbia, sì ch'ogne Bianco ne sarà feruto.

E detto l'ho perché doler ti debbia!».

CANTO XXV

[Canto XXV, dove si tratta di quella medesima materia che detta è nel capitolo dinanzi a questo, e tratta contr' a' fiorentini, ma in prima sgrida contro a la città di Pistoia; ed è quella medesima bolgia.]

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Al fine de le sue parole il ladro le mani alzò con amendue le fiche, gridando: «Togli, Dio, ch'a te le squadro!».

Da indi in qua mi fuor le serpi amiche, perch' una li s'avvolse allora al collo, come dicesse 'Non vo' che più diche'; e un'altra a le braccia, e rilegollo, ribadendo sé stessa sì dinanzi,

che non potea con esse dare un crollo.

Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi d'incenerarti sì che più non duri, poi che 'n mal fare il seme tuo avanzi?

Are sens

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