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com' avria fatto il gallo di Gallura».

Così dicea, segnato de la stampa, nel suo aspetto, di quel dritto zelo che misuratamente in core avvampa.

Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo, pur là dove le stelle son più tarde, sì come rota più presso a lo stelo.

E 'l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».

E io a lui: «A quelle tre facelle di che 'l polo di qua tutto quanto arde».

Ond' elli a me: «Le quattro chiare stelle che vedevi staman, son di là basse, e queste son salite ov' eran quelle».

Com' ei parlava, e Sordello a sé il trasse dicendo: «Vedi là 'l nostro avversaro»; e drizzò il dito perché 'n là guardasse.

Da quella parte onde non ha riparo la picciola vallea, era una biscia, forse qual diede ad Eva il cibo amaro.

Tra l'erba e ' fior venìa la mala striscia, volgendo ad ora ad or la testa, e 'l dosso leccando come bestia che si liscia.

Io non vidi, e però dicer non posso, come mosser li astor celestïali;

ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.

Sentendo fender l'aere a le verdi ali, fuggì 'l serpente, e li angeli dier volta, suso a le poste rivolando iguali.

L'ombra che s'era al giudice raccolta quando chiamò, per tutto quello assalto punto non fu da me guardare sciolta.

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

«Se la lucerna che ti mena in alto truovi nel tuo arbitrio tanta cera quant' è mestiere infino al sommo smalto», cominciò ella, «se novella vera

di Val di Magra o di parte vicina sai, dillo a me, che già grande là era.

Fui chiamato Currado Malaspina;

non son l'antico, ma di lui discesi; a' miei portai l'amor che qui raffina».

«Oh!», diss' io lui, «per li vostri paesi già mai non fui; ma dove si dimora per tutta Europa ch'ei non sien palesi?

La fama che la vostra casa onora, grida i segnori e grida la contrada, sì che ne sa chi non vi fu ancora; e io vi giuro, s'io di sopra vada, che vostra gente onrata non si sfregia del pregio de la borsa e de la spada.

Uso e natura sì la privilegia,

che, perché il capo reo il mondo torca, sola va dritta e 'l mal cammin dispregia».

Ed elli: «Or va; che 'l sol non si ricorca sette volte nel letto che 'l Montone con tutti e quattro i piè cuopre e inforca, che cotesta cortese oppinïone

ti fia chiavata in mezzo de la testa con maggior chiovi che d'altrui sermone, se corso di giudicio non s'arresta».

CANTO IX

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

[Canto IX, nel quale pone l'auttore uno suo significativo sogno; e poi come pervennero a l'entrata del purgatorio proprio, descrivendo come ne l'entrata di purgatorio trovoe uno angelo che con la punta de la spada che portava in mano scrisse ne la fronte di Dante sette P.]

La concubina di Titone antico

già s'imbiancava al balco d'orïente, fuor de le braccia del suo dolce amico; di gemme la sua fronte era lucente, poste in figura del freddo animale che con la coda percuote la gente; e la notte, de' passi con che sale, fatti avea due nel loco ov' eravamo, e 'l terzo già chinava in giuso l'ale; quand' io, che meco avea di quel d'Adamo, vinto dal sonno, in su l'erba inchinai là 've già tutti e cinque sedavamo.

Ne l'ora che comincia i tristi lai la rondinella presso a la mattina, forse a memoria de' suo' primi guai, e che la mente nostra, peregrina

più da la carne e men da' pensier presa, a le sue visïon quasi è divina,

in sogno mi parea veder sospesa

un'aguglia nel ciel con penne d'oro, con l'ali aperte e a calare intesa; ed esser mi parea là dove fuoro

abbandonati i suoi da Ganimede,

quando fu ratto al sommo consistoro.

Fra me pensava: 'Forse questa fiede 196

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

pur qui per uso, e forse d'altro loco disdegna di portarne suso in piede'.

Are sens

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