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Lascian' andar, ché nel cielo è voluto ch'i' mostri altrui questo cammin silvestro».

Allor li fu l'orgoglio sì caduto, ch'e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi, e disse a li altri: «Omai non sia feruto».

E 'l duca mio a me: «O tu che siedi tra li scheggion del ponte quatto quatto, sicuramente omai a me ti riedi».

Per ch'io mi mossi e a lui venni ratto; e i diavoli si fecer tutti avanti, sì ch'io temetti ch'ei tenesser patto; così vid' ïo già temer li fanti

ch'uscivan patteggiati di Caprona, veggendo sé tra nemici cotanti.

I' m'accostai con tutta la persona lungo 'l mio duca, e non torceva li occhi da la sembianza lor ch'era non buona.

Ei chinavan li raffi e «Vuo' che 'l tocchi», diceva l'un con l'altro, «in sul groppone?».

E rispondien: «Sì, fa che gliel' accocchi».

Ma quel demonio che tenea sermone col duca mio, si volse tutto presto e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».

Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo iscoglio non si può, però che giace tutto spezzato al fondo l'arco sesto.

E se l'andare avante pur vi piace, andatevene su per questa grotta;

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

presso è un altro scoglio che via face.

Ier, più oltre cinqu' ore che quest' otta, mille dugento con sessanta sei

anni compié che qui la via fu rotta.

Io mando verso là di questi miei

a riguardar s'alcun se ne sciorina; gite con lor, che non saranno rei».

«Tra'ti avante, Alichino, e Calcabrina», cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo; e Barbariccia guidi la decina.

Libicocco vegn' oltre e Draghignazzo, Cirïatto sannuto e Graffiacane

e Farfarello e Rubicante pazzo.

Cercate 'ntorno le boglienti pane; costor sian salvi infino a l'altro scheggio che tutto intero va sovra le tane».

«Omè, maestro, che è quel ch'i' veggio?», diss' io, «deh, sanza scorta andianci soli, se tu sa' ir; ch'i' per me non la cheggio.

Se tu se' sì accorto come suoli,

non vedi tu ch'e' digrignan li denti e con le ciglia ne minaccian duoli?».

Ed elli a me: «Non vo' che tu paventi; lasciali digrignar pur a lor senno, ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti».

Per l'argine sinistro volta dienno; ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca, per cenno; ed elli avea del cul fatto trombetta.

CANTO XXII

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[Canto XXII, nel quale abomina quelli di Sardigna e tratta alcuna cosa de la sagacitade de' barattieri in persona d'uno navarrese, e de' barattieri medesimi questo canta.]

Io vidi già cavalier muover campo, e cominciare stormo e far lor mostra, e talvolta partir per loro scampo; corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane,

fedir torneamenti e correr giostra; quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane; né già con sì diversa cennamella

cavalier vidi muover né pedoni,

né nave a segno di terra o di stella.

Noi andavam con li diece demoni.

Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni.

Pur a la pegola era la mia 'ntesa, per veder de la bolgia ogne contegno e de la gente ch'entro v'era incesa.

Come i dalfini, quando fanno segno a' marinar con l'arco de la schiena che s'argomentin di campar lor legno, talor così, ad alleggiar la pena, mostrav' alcun de' peccatori 'l dosso e nascondea in men che non balena.

E come a l'orlo de l'acqua d'un fosso stanno i ranocchi pur col muso fuori, 96

Are sens

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