– Un regalo a noi? – gridò la Volpe sdegnandosi e chiamandosi offesa. – Dio te ne liberi!
– Te ne liberi! – ripetè il Gatto.
– Noi, – riprese la Volpe, – non lavoriamo per il vile interesse: noi lavoriamo unicamente per arricchire gli altri.
– Gli altri! – ripetè il Gatto.
– Che brave persone! – pensò dentro di sé Pinocchio: e dimenticandosi lì sul tamburo, del suo babbo, della casacca nuova, dell’Abbecedario e di tutti i buoni proponimenti fatti, disse alla Volpe e al Gatto:
– Andiamo pure. Io vengo con voi.
Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Collodi - Le avventure di PinocchioL’osteria del Gambero Rosso.
Cammina, cammina, cammina, alla fine sul far della sera arrivarono stanchi morti all’osteria del Gambero Rosso.
– Fermiamoci un po’ qui, – disse la Volpe, – tanto per mangiare un boccone e per riposarci qualche ora. A mezzanotte poi ripartiremo per essere domani, all’alba, nel Campo dei miracoli.
Entrati nell’osteria, si posero tutti e tre a tavola: ma nessuno di loro aveva appetito.
Il povero Gatto, sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non poté mangiare altro che trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana: e perché la trippa non gli pareva condi-ta abbastanza, si rifece tre volte a chiedere il burro e il formaggio grattato!
La Volpe avrebbe spelluzzicato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dovè contentarsi di una semplice lepre dolce e forte con un leggerissimo contor-no di pollastre ingrassate e di galletti di primo canto.
Dopo la lepre si fece portare per tornagusto un cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d’uva paradisa; e poi non volle altro. Aveva tanta nausea per il cibo, diceva lei, che non poteva accostarsi nulla alla bocca.
Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio. Chiese uno spicchio di noce e un cantuccino di pane, e lasciò nel piatto ogni cosa. Il povero figliuolo col pensiero sempre fisso al Campo dei miracoli, aveva preso un’indigestione anticipata di monete d’oro.
Quand’ebbero cenato, la Volpe disse all’oste:
– Dateci due buone camere, una per il signor Pinocchio e un’altra per me e per il mio compagno. Prima di ripartire schiacceremo un sonnellino. Ricordatevi però Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio che a mezzanotte vogliamo essere svegliati per continuare il nostro viaggio.
– Sissignori, – rispose l’oste e strizzò l’occhio alla Volpe e al Gatto, come dire: «Ho mangiata la foglia e ci siamo intesi!...».
Appena che Pinocchio fu entrato nel letto, si addormentò a colpo e principiò a sognare. E sognando gli pareva di essere in mezzo a un campo, e questo campo era pieno di arboscelli carichi di grappoli, e questi grappoli erano carichi di zecchini d’oro che, dondolandosi mossi dal vento, facevano zin, zin, zin, quasi volessero dire:
«Chi ci vuole venga a prenderci». Ma quando Pinocchio fu sul più bello, quando, cioè, allungò la mano per prendere a manciate tutte quelle belle monete e metter-sele in tasca, si trovò svegliato all’improvviso da tre vio-lentissimi colpi dati nella porta di camera.
Era l’oste che veniva a dirgli che la mezzanotte era suonata.
– E i miei compagni sono pronti? – gli domandò il burattino.
– Altro che pronti! Sono partiti due ore fa.
– Perché mai tanta fretta?
– Perché il Gatto ha ricevuto un’imbasciata, che il suo gattino maggiore, malato di geloni ai piedi, stava in pericolo di vita.
– E la cena l’hanno pagata?
– Che vi pare? Quelle lì sono persone troppo educate perché facciano un affronto simile alla signoria vostra.
– Peccato! Quest’affronto mi avrebbe fatto tanto piacere! – disse Pinocchio, grattandosi il capo. Poi domandò:
– E dove hanno detto di aspettarmi quei buoni amici?
– Al Campo dei miracoli, domattina, allo spuntare del giorno.
Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio Pinocchio pagò uno zecchino per la cena sua e per quella dei suoi compagni, e dopo partì.
Ma si può dire che partisse a tastoni, perché fuori dell’osteria c’era un buio così buio, che non ci si vedeva da qui a lì. Nella campagna all’intorno non si sentiva alitare una foglia. Solamente alcuni uccellacci notturni, traversando la strada da una siepe all’altra, venivano a sbattere le ali sul naso di Pinocchio, il quale, facendo un salto indietro per la paura, gridava: – Chi va là? – e l’eco delle colline circostanti ripeteva in lontananza: –
Chi va là? chi va là? chi va là?
Intanto, mentre camminava, vide sul tronco di un albero un piccolo animaletto che riluceva di una luce pal-lida e opaca, come un lumino da notte dentro una lampada di porcellana trasparente.
– Chi sei? – gli domandò Pinocchio.