– Tuo amico?
– Un mio compagno di scuola!...
– Come?! – urlò Giangio dando in una gran risata. –
Come?! avevi dei somari per compagni di scuola!... Fi-guriamoci i belli studi che devi aver fatto!...
Il burattino, sentendosi mortificato da quelle parole, non rispose: ma prese il suo bicchiere di latte quasi caldo, e se ne tornò alla capanna.
E da quel giorno in poi, continuò più di cinque mesi a levarsi ogni mattina, prima dell’alba, per andare a girare il bindolo, e guadagnare così quel bicchiere di latte, che faceva tanto bene alla salute cagionosa del suo babbo. Né si contentò di questo: perché a tempo avanzato, imparò a fabbricare anche i canestri e i panieri di giunco: e coi quattrini che ne ricavava, provvedeva con moltissimo giudizio a tutte le spese giornaliere. Fra le altre cose, costruì da sé stesso un elegante carrettino per condurre a spasso il suo babbo alle belle giornate, e per fargli prendere una boccata d’aria.
Nelle veglie poi della sera, si esercitava a leggere e a scrivere. Aveva comprato nel vicino paese per pochi centesimi un grosso libro, al quale mancavano il frontespizio e l’indice, e con quello faceva la sua lettura.
Quanto allo scrivere, si serviva di un fuscello temperato a uso penna; e non avendo né calamaio né inchiostro, lo Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio intingeva in una boccettina ripiena di sugo di more e di ciliege.
Fatto sta, che con la sua buona volontà d’ingegnarsi, di lavorare e di tirarsi avanti, non solo era riuscito a mantenere quasi agiatamente il suo genitore sempre malaticcio, ma per di più aveva potuto mettere da parte anche quaranta soldi per comprarsi un vestitino nuovo.
Una mattina disse a suo padre:
– Vado qui al mercato vicino, a comprarmi una giacchettina, un berrettino e un paio di scarpe. Quando tor-nerò a casa, – soggiunse ridendo, – sarò vestito così bene, che mi scambierete per un gran signore.
E uscito di casa, cominciò a correre tutto allegro e contento. Quando a un tratto sentì chiamarsi per nome: e voltandosi, vide una bella Lumaca che sbucava fuori della siepe.
– Non mi riconosci? – disse la Lumaca.
– Mi pare e non mi pare...
– Non ti ricordi di quella Lumaca, che stava per ca-meriera con la Fata dai capelli turchini? Non ti rammenti di quella volta, quando scesi a farti lume e che tu rimanesti con un piede confitto nell’uscio di casa?
– Mi rammento di tutto, – gridò Pinocchio. – Rispondimi subito, Lumachina bella: dove hai lasciato la mia buona Fata? Che fa? Mi ha perdonato? Si ricorda sempre di me? Mi vuol sempre bene? E’ molto lontana da qui? Potrei andare a trovarla?
A tutte queste domande fatte precipitosamente e senza ripigliar fiato, la Lumaca rispose con la sua solita flemma:
– Pinocchio mio! La povera Fata giace in un fondo di letto allo spedale!...
– Allo spedale?...
– Pur troppo! Colpita da mille disgrazie, si è gravemente ammalata e non ha più da comprarsi un boccon di pane.
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio
– Davvero?... Oh! Che gran dolore che mi hai dato!
Oh! povera Fatina! Povera Fatina! Povera Fatina!... Se avessi un milione, correrei a portarglielo... Ma io non ho che quaranta soldi... eccoli qui: andavo giusto a comprarmi un vestito nuovo. Prendili, Lumaca, e và a portarli subito alla mia buona Fata.
– E il tuo vestito nuovo?...
– Che m’importa del vestito nuovo? Venderei anche questi cenci che ho addosso, per poterla aiutare! Và, Lumaca, spicciati: e fra due giorni ritorna qui, che spero di poterti dare qualche altro soldo. Finora ho la-vorato per mantenere il mio babbo: da oggi in là, lavorerò cinque ore di più per mantenere anche la mia buona mamma. Addio, Lumaca, e fra due giorni ti aspetto.
La Lumaca, contro il suo costume, cominciò a correre come una lucertola nei grandi solleoni d’agosto.
Quando Pinocchio tornò a casa, il suo babbo gli domandò:
– E il vestito nuovo?
– Non m’è stato possibile di trovarne uno che mi tornasse bene. Pazienza!... Lo comprerò un’altra volta.
Quella sera Pinocchio, invece di vegliare fino alle dieci, vegliò fino alla mezzanotte suonata; e invece di far otto canestre di giunco ne fece sedici.
Poi andò a letto e si addormentò. E nel dormire, gli parve di vedere in sogno la Fata, tutta bella e sorriden-te, la quale, dopo avergli dato un bacio, gli disse così.
– Bravo Pinocchio! In grazia del tuo buon cuore, io ti perdono tutte le monellerie che hai fatto fino a oggi. I ragazzi che assistono amorosamente i propri genitori nelle loro miserie e nelle loro infermità, meritano sempre gran lode e grande affetto, anche se non possono esser citati come modelli d’ubbidienza e di buona con-dotta. Metti giudizio per l’avvenire, e sarai felice.
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio A questo punto il sogno finì, e Pinocchio si svegliò con tanto d’occhi spalancati.
Ora immaginatevi voi quale fu la sua maraviglia quando, svegliandosi, si accorse che non era più un burattino di legno: ma che era diventato, invece, un ragazzo come tutti gli altri. Dette un’occhiata all’intorno e invece delle solite pareti di paglia della capanna, vide una bella camerina ammobiliata e agghindata con una sem-plicità quasi elegante. Saltando giù dal letto, trovò preparato un bel vestiario nuovo, un berretto nuovo e un paio di stivaletti di pelle, che gli tornavano una vera pit-tura.