Venne finalmente il giorno, in cui il suo padrone poté annunziare uno spettacolo veramente straordina-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio rio. I cartelloni di vario colore, attaccati alle cantonate delle strade, dicevano cosi:
Quella sera, come potete figurarvelo, un’ora prima che cominciasse lo spettacolo, il teatro era pieno stipa-to.
Non si trovava più né un posto distinto, né un palco, nemmeno a pagarlo a peso d’oro.
Le gradinate del Circo formicolavano di bambini, di bambine e di ragazzi di tutte le età, che avevano la febbre addosso per la smania di veder ballare il famoso ciuchino Pinocchio.
Finita la prima parte dello spettacolo, il direttore della compagnia, vestito in giubba nera, calzoni bianchi a coscia e stivaloni di pelle fin sopra ai ginocchi, si presentò all’affollatissimo pubblico, e, fatto un grande in-chino, recitò con molta solennità il seguente spropositato discorso:
«Rispettabile pubblico, cavalieri e dame! L’umile sottoscritto essendo di passaggio per questa illustre me-tropolitana, ho voluto procrearmi l’onore nonché il piacere di presentare a questo intelligente e cospicuo udi-torio un celebre ciuchino, che ebbe già l’onore di ballare al cospetto di Sua Maestà l’Imperatore di tutte le Corti principali d’Europa.
«E col ringraziandoli, aiutateci della vostra animatri-ce presenza e compatiteci!»
Questo discorso fu accolto da molte risate e da molti applausi: ma gli applausi raddoppiarono e diventarono una specie di uragano alla comparsa del ciuchino Pinocchio in mezzo al Circo. Egli era tutto agghindato a festa. Aveva una briglia nuova di pelle lustra, con fibbie e borchie d’ottone; due camelie bianche agli orecchi; la criniera divisa in tanti riccioli legati con fiocchettini d’argento attraverso alla vita, e la coda tutta intrecciata con nastri di velluto amaranto e celeste. Era, insomma, un ciuchino da innamorare!
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio Il direttore, nel presentarlo al pubblico, aggiunse queste parole:
«Miei rispettabili auditori! Non starò qui a farvi menzogne delle grandi difficoltà da me soppressate per comprendere e soggiogare questo mammifero, mentre pascolava liberamente di montagna in montagna nelle pianure della zona torrida. Osservate, vi prego, quanta selvaggina trasudi dà suoi occhi, conciossiaché essendo riusciti vanitosi tutti i mezzi per addomesticarlo al vivere dei quadrupedi civili, ho dovuto più volte ricorrere all’affabile dialetto della frusta. Ma ogni mia gentilezza invece di farmi da lui benvolere, me ne ha maggiormen-te cattivato l’animo. Io però, seguendo il sistema di Galles, trovai nel suo cranio una piccola cartagine ossea che la stessa Facoltà Medicea di Parigi riconobbe essere quello il bulbo rigeneratore dei capelli e della danza pirrica. E per questo io lo volli ammaestrare nel ballo nonché nei relativi salti dei cerchi e delle botti foderate di foglio. Ammiratelo, e poi giudicatelo! Prima però di prendere cognato da voi, permettete, o signori, che io v’inviti al diurno spettacolo di domani sera: ma nell’apoteosi che il tempo piovoso minacciasse acqua, allora lo spettacolo invece di domani sera, sarà postici-pato a domattina, alle ore undici antimeridiane del po-meriggio».
E qui il direttore fece un’altra profondissima riverenza: quindi rivolgendosi a Pinocchio, gli disse:
– Animo, Pinocchio!... Avanti di dar principio ai vostri esercizi, salutate questo rispettabile pubblico, cavalieri, dame e ragazzi!
Pinocchio, ubbidiente, piegò subito i due ginocchi davanti, fino a terra, e rimase inginocchiato fino a tanto che il direttore, schioccando la frusta, non gli gridò:
– Al passo!
Allora il ciuchino si rizzò sulle quattro gambe, e co-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio minciò a girare intorno al Circo, camminando sempre di passo.
Dopo un poco il direttore grido:
– Al trotto! – e Pinocchio, ubbidiente al comando, cambiò il passo in trotto.
– Al galoppo!... – e Pinocchio staccò il galoppo.
– Alla carriera! – e Pinocchio si dette a correre di gran carriera.
Ma in quella che correva come un barbero, il direttore, alzando il braccio in aria, scaricò un colpo di pistola.
A quel colpo il ciuchino, fingendosi ferito, cadde disteso nel Circo, come se fosse moribondo davvero.
Rizzatosi da terra, in mezzo a uno scoppio di applausi, d’urli e di battimani, che andavano alle stelle, gli venne naturalmente di alzare la testa e di guardare in su... e guardando, vide in un palco una bella signora, che aveva al collo una grossa collana d’oro, dalla quale pendeva un medaglione.
Nel medaglione c’era dipinto il ritratto d’un burattino.
– Quel ritratto è il mio!... quella signora è la Fata! –
disse dentro di sé Pinocchio, riconoscendola subito: e lasciandosi vincere dalla gran contentezza, si provò a gridare:
– Oh Fatina mia! oh Fatina mia!
Ma invece di queste parole, gli uscì dalla gola un ra-glio cosi sonoro e prolungato, che fece ridere tutti gli spettatori, e segnatamente tutti i ragazzi che erano in teatro.
Allora il direttore, per insegnargli e per fargli intendere che non è buona creanza mettersi a ragliare in faccia al pubblico, gli diè col manico della frusta una bac-chettata sul naso.
Il povero ciuchino, tirato fuori un palmo di lingua, durò a leccarsi il naso almeno cinque minuti, credendo forse così di rasciugarsi il dolore che aveva sentito.
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio Ma quale fu la sua disperazione quando, voltandosi in su una seconda volta, vide che il palco era vuoto e che la Fata era sparita!...
Si sentì come morire: gli occhi gli si empirono di lacrime e cominciò a piangere dirottamente. Nessuno però se ne accorse e, meno degli altri, il direttore, il quale, anzi, schioccando la frusta, gridò:
– Da bravo, Pinocchio! Ora farete vedere a questi signori con quanta grazia sapete saltare i cerchi.