– Cioè?
– Tu hai una gran brutta febbre!...
– E che febbre sarebbe?
– E’ la febbre del somaro.
– Non la capisco questa febbre! – rispose il burattino, che l’aveva pur troppo capita.
– Allora te la spiegherò io, – soggiunse la Marmottina. – Sappi dunque che fra due o tre ore tu non sarai più burattino, né un ragazzo...
– E che cosa sarò?
– Fra due o tre ore, tu diventerai un ciuchino vero e proprio, come quelli che tirano il carretto e che portano i cavoli e l’insalata al mercato.
– Oh! Povero me! Povero me! – gridò Pinocchio pi-gliandosi con le mani tutt’e due gli orecchi, e tirandoli e strapazzandoli rabbiosamente, come se fossero gli orecchi di un altro.
– Caro mio, – replicò la Marmottina per consolarlo, –
che cosa ci vuoi tu fare? Oramai è destino. Oramai è scritto nei decreti della sapienza, che tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giochi e in divertimenti, debbano finire prima o poi col trasformar-si in tanti piccoli somari.
– Ma davvero è proprio così? – domandò singhiozzando il burattino.
– Purtroppo è cosi! E ora i pianti sono inutili. Bisognava pensarci prima!
– Ma la colpa non è mia: la colpa, credilo, Marmottina, è tutta di Lucignolo!...
– E chi è questo Lucignolo!...
Letteratura italiana Einaudi
130
Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio
– Un mio compagno di scuola. Io volevo tornare a casa: io volevo essere ubbidiente: io volevo seguitare a studiare e a farmi onore... ma Lucignolo mi disse: «Perché vuoi annoiarti a studiare? Perché vuoi andare alla scuola? Vieni piuttosto con me, nel Paese dei Balocchi: lì non studieremo più: lì ci divertiremo dalla mattina alla sera e staremo sempre allegri».
– E perché seguisti il consiglio di quel falso amico? di quel cattivo compagno?
– Perché?... Perché, Marmottina mia, io sono un burattino senza giudizio... e senza cuore. Oh! se avessi avuto un zinzino di cuore, non avrei mai abbandonato quella buona Fata, che mi voleva bene come una mamma e che aveva fatto tanto per me!... E a quest’ora non sarei più un burattino... ma sarei invece un ragazzino a modo, come ce n’è tanti! Oh!... ma se incontro Lucignolo, guai a lui! Gliene voglio dire un sacco e una sporta!
E fece l’atto di volere uscire. Ma quando fu sulla porta, si ricordò che aveva gli orecchi d’asino, e vergognandosi di mostrarli al pubblico, che cosa inventò?...
Prese un gran berretto di cotone, e, ficcatoselo in testa, se lo ingozzò fin sotto la punta del naso.
Poi uscì: e si dette a cercar Lucignolo dappertutto.
Lo cercò nelle strade, nelle piazze, nei teatrini, in ogni luogo: ma non lo trovò. Ne chiese notizia a quanti incontrò per la via, ma nessuno l’aveva veduto.
Allora andò a cercarlo a casa: e arrivato alla porta bussò.
– Chi è? – domandò Lucignolo di dentro.
– Sono io! – rispose il burattino.
– Aspetta un poco, e ti aprirò.
Dopo mezz’ora la porta si aprì: e figuratevi come restò Pinocchio quando, entrando nella stanza, vide il suo amico Lucignolo con un gran berretto di cotone in testa, che gli scendeva fin sotto il naso.
Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio Alla vista di quel berretto, Pinocchio sentì quasi consolarsi e pensò subito dentro di sé:
«Che l’amico sia malato della mia medesima malattia? Che abbia anche lui la febbre del ciuchino?...»
E facendo finta di non essersi accorto di nulla, gli domandò sorridendo:
– Come stai, mio caro Lucignolo?
– Benissimo: come un topo in una forma di cacio parmigiano.
– Lo dici proprio sul serio?
– E perché dovrei dirti una bugia?
– Scusami, amico: e allora perché tieni in capo codesto berretto di cotone che ti cuopre tutti gli orecchi?