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– Che bel paese! – ripetè Pinocchio, sputando dalla soverchia consolazione.

Poi, fatto un animo risoluto, soggiunse in fretta e furia:

– Dunque, addio davvero: e buon viaggio.

– Addio.

– Fra quanto partirete?

– Fra due ore!

– Peccato! Se alla partenza mancasse un’ora sola, sarei quasi quasi capace di aspettare.

– E la Fata?...

– Oramai ho fatto tardi!... E tornare a casa un’ora prima o un’ora dopo, è lo stesso.

– Povero Pinocchio! E se la Fata ti grida?

– Pazienza! La lascerò gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà.

Intanto si era già fatta notte e notte buia: quando a un tratto videro muoversi in lontananza un lumicino... e sentirono un suono di bubboli e uno squillo di trombet-ta, così piccolino e soffocato, che pareva il sibilo di una zanzara!

– Eccolo! – gridò Lucignolo, rizzandosi in piedi.

– Chi è? – domandò sottovoce Pinocchio.

– E’ il carro che viene a prendermi. Dunque, vuoi venire, sì o no?

– Ma è proprio vero, – domandò il burattino, – che in quel paese i ragazzi non hanno mai l’obbligo di studiare?

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio

– Mai, mai, mai!

– Che bel paese!... che bel paese!... che bel paese!...

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di PinocchioDopo cinque mesi di cuccagna, Pinocchio, con sua grandemaraviglia, sente spuntarsi un bel paio d’orecchie asininee diventa un ciuchino, con la coda e tutto.

Finalmente il carro arrivò: e arrivò senza fare il più piccolo rumore, perché le sue ruote erano fasciate di stoppa e di cenci.

Lo tiravano dodici pariglie di ciuchini, tutti della medesima grandezza, ma di diverso pelame.

Alcuni erano bigi, altri bianchi, altri brizzolati a uso pepe e sale, e altri rigati a grandi strisce gialle e turchi-ne. Ma la cosa più singolare era questa: che quelle dodici pariglie, ossia quei ventiquattro ciuchini, invece di essere ferrati come tutti le altre bestie da tiro o da soma, avevano ai piedi degli stivali da uomo di vacchetta bianca.

E il conduttore del carro?...

Figuratevi un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro, con un visino di me-larosa, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d’un gatto che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa.

Tutti i ragazzi, appena lo vedevano, ne restavano in-namorati e facevano a gara nel montare sul suo carro, per essere condotti da lui in quella vera cuccagna conosciuta nella carta geografica col seducente nome di Paese dei Balocchi.

Difatti il carro era già tutto pieno di ragazzetti fra gli otto e i dodici anni, ammonticchiati gli uni sugli altri, come tante acciughe nella salamoia. Stavano male, stavano pigiati, non potevano quasi respirare: ma nessuno diceva ohi! , nessuno si lamentava. La consolazione di sapere che fra poche ore sarebbero giunti in un paese, dove non c’erano né libri, né scuole, né maestri, li ren-deva così contenti e rassegnati, che non sentivano né i Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio disagi, né gli strapazzi, né la fame, né la sete, né il sonno.

Appena che il carro si fu fermato, l’omino si volse a Lucignolo e con mille smorfie e mille manierine, gli domandò sorridendo:

– Dimmi, mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu in quel fortunato paese?

– Sicuro che ci voglio venire.

– Ma ti avverto, carino mio, che nel carro non c’è più posto. Come vedi, è tutto pieno!...

– Pazienza! – replicò Lucignolo, – se non c’è posto dentro, io mi adatterò a star seduto sulle stanghe del carro.

E spiccato un salto, montò a cavalcioni sulle stanghe.

– E tu, amor mio?... – disse l’omino volgendosi tutto complimentoso a Pinocchio. – Che intendi fare? Vieni con noi, o rimani?...

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