La Laudomia dei non nati non trasmette, come quella dei morti, una qualche sicurezza agli abitanti della Laudomia viva, ma solo sgomento. Ai pensieri dei visitatori finiscono per aprirsi due strade, e non si sa quale riserbi piú angoscia: o si pensa che il numero dei nascituri su-peri di gran lunga quello di tutti i vivi e tutti i morti, e allora in ogni poro della pietra s’accalcano folle invisibili, stipate sulle pendici dell’imbuto come sulle gradinate d’uno stadio, e poiché a ogni generazione la discenden-za di Laudomia si moltiplica, in ogni imbuto s’aprono centinaia d’imbuti ognuno con milioni di persone che devono nascere e protendono i colli e aprono la bocca per non soffocare; oppure si pensa che anche Laudomia scomparirà, non si sa quando, e tutti i suoi cittadini con lei, cioè le generazioni si succederanno fino a raggiungere una cifra e non andranno piú in la, e allora la Laudo-Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili mia dei morti e quella dei non nati sono come le due ampolle d’una clessidra che non si rovescia, ogni passaggio tra la nascita e la morte è un granello di sabbia che attraversa la strozzatura, e ci sarà un ultimo abitante di Laudomia a nascere, un ultimo granello a cadere che ora è qui che aspetta in cima al mucchio.
Le città e il cielo. 4.
Chiamati a dettare le norme per la fondazione di Perinzia gli astronomi stabilirono il luogo e il giorno secondo la posizione delle stelle, tracciarono le linee incrocia-te del decumano e del cardo orientate l’una come il corso del sole e l’altra come l’asse attorno a cui ruotano i cieli, divisero la mappa secondo le dodici case dello zodiaco in modo che ogni tempio e ogni quartiere riceves-se il giusto influsso dalle costellazioni opportune, fissa-rono il punto delle mura in cui aprire le porte prevedendo che ognuna inquadrasse un’eclisse di luna nei prossimi mille anni. Perinzia – assicurarono – avrebbe rispecchiato l’armonia del firmamento; la ragione della natura e la grazia degli dei avrebbero dato forma ai destini degli abitanti.
Seguendo con esattezza i calcoli degli astronomi, Perinzia fu edificata; genti diverse vennero a popolarla; la prima generazione dei nati a Perinzia prese a crescere tra le sue mura; e questi alla loro volta raggiunsero l’età di sposarsi e avere figli.
Nelle vie e piazze di Perinzia oggi incontri storpi, na-ni, gobbi, obesi, donne con la barba. Ma il peggio non si vede; urli gutturali si levano dalle cantine e dai granai, dove le famiglie nascondono i figli con tre teste o con sei gambe.
Gli astronomi di Perinzia si trovano di fronte a una difficile scelta: o ammettere che tutti i loro calcoli sono Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili sbagliati e le loro cifre non riescono a descrivere il cielo, o rivelare che l’ordine degli dei è proprio quello che si rispecchia nella città dei mostri.
Le città continue. 3.
Ogni anno nei miei viaggi faccio sosta a Procopia e prendo alloggio nella stessa stanza della stessa locanda.
Fin dalla prima volta mi sono soffermato a contemplare il paesaggio che si vede spostando la tendina della finestra: un fosso, un ponte, un muretto, un albero di sorbo, un campo di pannocchie, un roveto con le more, un pollaio, un dosso di collina giallo, una nuvola bianca, un pezzo di cielo azzurro a forma di trapezio. Sono sicuro che la prima volta non si vedeva nessuno; è stato solo l’anno dopo che, a un movimento tra le foglie, ho potuto distinguere una faccia tonda e piatta che rosicchiava una pannocchia. Dopo un anno erano in tre sul muretto, e al mio ritorno ce ne vidi sei, seduti in fila, con le mani sui ginocchi e qualche sorba in un piatto. Ogni anno, appena entrato nella stanza, alzavo la tendina e contavo alcune facce in piú: sedici, compresi quelli giù nel fosso; ventinove,di cui otto appollaiati sul sorbo; quarantasette senza contare quelli nel pollaio. Si somigliano, sembrano gentili, hanno lentiggini sulle guance, sorridono, qualcuno con la bocca sporca di more. Presto vidi tutto il ponte pieno di tipi dalla faccia tonda, accoccolati perché non avevano piú posto per muoversi; sgranocchia-vano le pannocchie, poi rodevano i torsoli.
Cosí, un anno dopo l’altro ho visto sparire il fosso, l’albero , il roveto, nascosti da siepi di sorrisi tranquilli, tra le guance tonde che si muovono masticando foglie.
Non si ha idea, in uno spazio ristretto come quel campi-cello di granturco, quanta gente ci può stare, specie se messi seduti con le braccia intorno ai ginocchi, fermi.
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Italo Calvino - Le città invisibili Devono essercene molti di piú di quanto sembra: il dosso della collina l’ho visto coprirsi d’una folla sempre piú fitta; ma da quando quelli sul ponte hanno preso l’abitudine di stare a cavalcioni l’uno sulle spalle dell’altro non riesco piú a spingere lo sguardo tanto in là.
Quest’anno, infine, a alzare la tendina, la finestra inquadra solo una distesa di facce: da un angolo all’altro, a tutti i livelli e a tutte le distanze, si vedono questi visi tondi, fermi, piatti piatti, con un accenno di sorriso, e in mezzo molte mani, che si tengono alle spalle di quelli che stanno davanti. Anche il cielo è sparito. Tanto vale che mi allontani dalla finestra.
Non che i movimenti mi siano facili. Nella mia stanza siamo alloggiati in ventisei: per spostare i piedi devo di-sturbare quelli che stanno accoccolati sul pavimento, mi faccio largo tra i ginocchi di quelli seduti sul cassettone e i gomiti di quelli che si dànno il turno per appoggiarsi al letto: tutte persone gentili, per fortuna.
Le città nascoste. 2.
Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tem-pie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti.
Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’ alto dell’impalcatura ha esclamato: –
Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragú sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d’un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l’ultima siepe, felice lui ma piú felice ancora il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello li-berato dalla gabbia da un pittore felice d’averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo di-ce: “Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento di-segnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d’esistere”.
Le città e il cielo. 5.
Con tale arte fu costruita Andria, che ogni sua via corre seguendo l’orbita d’un pianeta e gli edifici e i luoghi della vita in comune ripetono l’ordine delle costellazioni e la posizione degli astri piú luminosi: Antares, Alpheratz, Capella, le Cefeidi. Il calendario della città è regolato in modo che lavori e uffici e cerimonie si di-spongono in una mappa che corrisponde al firmamento in quella data: cosí i giorni in terra e le notti in cielo si ri-specchiano.
Pur attraverso una regolamentazione minuziosa, la vi-ta della città scorre calma come il moto dei corpi celesti e acquista la necessità dei fenomeni non sottoposti all’arbitrio umano. Ai cittadini d’Andria, lodandone le Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili produzioni industriose e l’agio dello spirito, m’indussi a dichiarare: – Bene comprendo come voi, sentendovi parte d’un cielo immutabile, ingranaggi d’una meticolo-sa orologeria, vi guardiate dall’apportare alla vostra città e ai vostri costumi il piú lieve cambiamento. Andria è la sola città che io conosca cui convenga restare immobile nel tempo.
Si guardarono interdetti. – Ma perché mai? E chi l’ha detto? – E mi condussero a visitare una via pensile aperta di recente sopra un bosco di bambú, un teatro delle ombre in costruzione al posto del canile municipale, ora tra-slocato nei padiglioni dell’ antico lazzaretto, abolito per la guarigione degli ultimi appestati, e – appena inaugura-ti – un porto fluviale, un statua di Talete, un toboga.
– E queste innovazioni non turbano il ritmo astrale della vostra città? – domandai.
– Cosí perfetta è la corrispondenza tra la nostra città e il cielo, – risposero, – che ogni cambiamento d’Andria comporta qualche novità tra le stelle –. Gli astronomi scrutano coi telescopi dopo ogni mutamento che ha luogo in Andria, e segnalano l’esplosione d’una nova, o il passare dall’arancione al giallo d’un remoto punto del firmamento, l’espandersi di una nebula, il curvarsi d’una spira della via lattea. Ogni cambiamento implica una catena d’altri cambiamenti, in Andria come tra le stelle: la città e il cielo non restano mai uguali.
Del carattere degli abitanti d’Andria meritano di essere ricordate due virtú: la sicurezza in se stessi e la pru-denza. Convinti che ogni innovazione nella città influisca sul disegno del cielo, prima d’ogni decisione calcolano i rischi e i vantaggi per loro e per l’insieme delle città e dei mondi.
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Italo Calvino - Le città invisibili Le città continue. 4.
Tu mi rimproveri perché ogni mio racconto ti trasporta nel bel mezzo d’una città senza dirti dello spazio che s’estende tra una città e l’altra: se lo coprano mari, campi di segale, foreste di larici, paludi. Ti risponderò con un racconto.
Per le vie di Cecilia, città illustre, incontrai una volta un capraio che spingeva rasente i muri un armento scampanante.