L’imperatore non batté ciglio. – Eppure non ti ho maisentito fare il suo nome.
E Polo: – Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia.
– Quando ti chiedo d’altre città, voglio sentirti dire diquelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia.
– Per distinguere le qualità delle altre, devo partire dauna prima città che resta implicita. Per me è Venezia.
– Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoiviaggi dalla partenza, descrivendo Venezia cosí com’è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ricordi di lei.
L’acqua del lago era appena increspata; il riflesso di ra-me dell’antica reggia dei Sung si frantumava in riverberiscintillanti come foglie che galleggiano.
– Le immagini della memoria, una volta fissate con leparole, si cancellano, – disse Polo. – Forse Venezia hopaura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse,parlando d’altre città, l’ho già perduta poco a poco.
Le città e gli scambi. 5.
A Smeraldina, città acquatica, un reticolo di canali e un reticolo di strade si sovrappongono e s’intersecano.
Per andare da un posto a un altro hai sempre la scelta tra il percorso terrestre e quello in barca: e poiché la linea piú breve tra due punti a Smeraldina non è una retta ma uno zigzag che si ramifica in tortuose varianti, le vie che s’aprono a ogni passante non sono soltanto due ma molte, e ancora aumentano per chi alterna traghetti in barca e trasbordi all’asciutto.
Cosí la noia a percorrere ogni giorno le stesse strade è risparmiata agli abitanti di Smeraldina. E non è tutto: la rete dei passaggi non è disposta su un solo strato, ma se-Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili gue un saliscendi di scalette, ballatoi, ponti a schiena d’asino, vie pensili. Combinando segmenti dei diversi tragitti sopraelevati o in superficie, ogni abitante si dà ogni giorno lo svago d’un nuovo itinerario per andare negli stessi luoghi. Le vite piú abitudinarie e tranquille a Smeraldina trascorrono senza ripetersi.
A maggiori costrizioni sono esposte, qui come altrove, le vite segrete e avventurose. I gatti di Smeraldina, i ladri, gli amanti clandestini si spostano per vie piú alte e discontinue, saltando da un tetto all’altro, calandosi da un’altana a un verone, contornando grondaie con passo da funamboli. Piú in basso, i topi corrono nel buio delle cloache l’uno dietro la coda dell’altro insieme ai congiu-rati e ai contabbandieri: fanno capolino da tombini e da chiaviche, svicolano per intercapedini e chiassuoli, tra-scinano da un nascondiglio all’altro croste di formaggio, mercanzie proibite, barili di polvere da sparo, attraversano la compattezza della città traforata dalla raggera dei cunicoli sotterranei.
Una mappa di Smeraldina dovrebbe comprendere, segnati in inchiostri di diverso colore, tutti questi trac-ciati, solidi e liquidi, palesi e nascosti. Piú difficile è fissare sulla carta le vie delle rondini, che tagliano l’aria sopra i tetti, calano lungo parabole invisibili ad ali ferme, scartano per inghiottire una zanzara, risalgono a spirale rasente un pinnacolo, sovrastano da ogni punto dei loro sentieri d’aria tutti i punti della città.
Le città e gli occhi. 4.
Giunto a Fillide, ti compiaci d’osservare quanti ponti diversi uno dall’altro attraversano i canali: ponti a schiena d’asino, coperti, su pilastri, su barche, sospesi, con i parapetti traforati; quante varietà di finestre s’affacciano sulle vie: a bifora, moresche, lanceolate, a sesto acuto, Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili sormontate da lunette o da rosoni; quante specie di pavimenti coprano il suolo: a ciottoli, a lastroni, d’imbrec-ciata, a piastrelle bianche e blu. In ogni suo punto la città offre sorprese alla vista: un cespo di capperi che sporge dalle mura della fortezza, le statue di tre regine su una mensola, una cupola a cipolla con tre cipolline infilzate sulla guglia. “Felice chi ha ogni giorno Fillide sotto gli occhi e non finisce mai di vedere le cose che contiene”, esclami, col rimpianto di dover lasciare la città dopo averla solo sfiorata con lo sguardo.
Ti accade invece di fermarti a Fillide e passarvi il resto dei tuoi giorni. Presto la città sbiadisce ai tuoi occhi, si cancellano i rosoni, le statue sulle mensole, le cupole.
Come tutti gli abitanti di Fillide, segui linee a zigzag da una via all’altra, distingui zone di sole e zone d’ombra, qua una porta, là una scala, una panca dove puoi posare il cesto, una cunetta dove il piede inciampa se non ci ba-di. Tutto il resto della città è invisibile. Fillide è uno spazio in cui si tracciano percorsi tra punti sospesi nel vuoto, la via piú breve per raggiungere la tenda di quel mercante evitando lo sportello di quel creditore. I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro, sepolto e cancellato: se tra due portici uno continua a sembrarti piú gaio è perché è quello in cui passava trent’anni fa una ragazza dalle larghe maniche ricamate, oppure è solo perché riceve la luce a una cert’ora come quel portico, che non ricordi piú dov’era.
Milioni d’occhi s’alzano su finestre ponti capperi ed è come scorressero su una pagina bianca. Molte sono le città come Fillide che si sottraggono agli sguardi tranne che se le cogli di sorpresa.
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Italo Calvino - Le città invisibili Le città e il nome. 3.
A lungo Pirra è stata per me una città incastellata sulle pendici d’un golfo, con finestre alte e torri, chiusa co-me una coppa, con al centro una piazza profonda come un pozzo e con un pozzo al centro. Non l’avevo mai vista. Era una delle tante città dove non sono mai arrivato, che m’immagino soltanto attraverso il nome: Eufrasia, Odile, Margara, Getullia. Pirra aveva il suo posto in mezzo a loro, diversa da ognuna di loro, come ognuna di loro inconfondibile agli occhi della mente.
Venne il giorno in cui i miei viaggi mi portarono a Pirra. Appena vi misi piede tutto quello che immagina-vo era dimenticato; Pirra era diventata ciò che è Pirra; e io credevo d’aver sempre saputo che il mare non è in vista della città, nascosto da una duna della costa bassa e ondulata; che le vie corrono lunghe e diritte; che le case sono raggruppate a intervalli, non alte, e le separano spiazzi di depositi di legname e segherie; che il vento muove le girandole delle pompe idrauliche. Da quel momento in poi il nome Pirra richiama alla mia mente questa vista, questa luce, questo ronzio, quest’aria in cui vo-la una polvere giallina: è evidente che significa e non poteva significare altro che questo.
La mia mente continua a contenere un gran numero di città che non ho visto né vedrò, nomi che portano con sé una figura o frammento o barbaglio di figura immaginata: Getullia, Odile, Eufrasia, Margara. Anche la città alta sul golfo è sempre là, con la piazza chiusa intorno al pozzo, ma non posso piú chiamarla con un nome, né ricordare come potevo darle un nome che significa tutt’altro.
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Italo Calvino - Le città invisibili Le città e i morti. 2.
Mai nei miei viaggi m’ero spinto fino a Adelma. Era l’imbrunire quando vi sbarcai. Sulla banchina il marinaio che prese al volo la cima e la legò alla bitta somigliava a uno che era stato soldato con me, ed era morto.
Era l’ora del mercato del pesce all’ingrosso. Un vecchio caricava una cesta di ricci su un carretto; credetti di ri-conoscerlo; quando mi voltai era sparito in un vicolo, ma avevo capito che somigliava a un pescatore che, già vecchio quando io ero bambino, non poteva piú essere tra i vivi. Mi turbò la vista d’un malato di febbri rannic-chiato per terra con una coperta sulla testa: mio padre pochi giorni prima di morire aveva gli occhi gialli e la barba ispida come lui tal quale. Girai lo sguardo; non osavo fissare piú nessuno in viso.
Pensai: “Se Adelma è una città che vedo in sogno, do-ve non s’incontrano che morti, il sogno mi fa paura. Se Adelma è una città vera, abitata da vivi, basterà continuare a fissarli perché le somiglianze si dissolvano e ap-paiano facce estranee, apportatrici d’angoscia. In un ca-so o nell’altro è meglio che non insista a guardarli”.
Un’erbivendola pesava una verza sulla stadera e la metteva in un paniere appeso a una cordicella che una ragazza calava da un balcone. La ragazza era uguale a una del mio paese che era impazzita d’amore e s’era uc-cisa. L’erbivendola alzò il viso: era mia nonna.
Pensai: “Si arriva a un momento nella vita in cui tra la gente che si è conosciuta i morti sono piú dei vivi. E la mente si rifiuta d’accettare altre fisionomie, altre espres-sioni: su tutte le facce nuove che incontra, imprime i vecchi calchi, per ognuna trova la maschera che s’adatta di piú”.
Gli scaricatori salivano le scale in fila, curvi sotto da-migiane e barili; le facce erano nascoste da cappucci di sacco; “Ora si tirano su e li riconosco”, pensavo, con im-Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili pazienza e con paura. Ma non staccavo gli occhi da loro; per poco che girassi lo sguardo sulla folla che gremiva quelle straducole, mi vedevo assalito da facce inaspetta-te, riapparse da lontano, che mi fissavano come per farsi riconoscere, come per riconoscermi, come se mi avessero riconosciuto. Forse anch’io assomigliavo per ognuno di loro a qualcuno che era morto. Ero appena arrivato ad Adelma e già ero uno di loro, ero passato dalla loro parte, confuso in quel fluttuare d’occhi, di rughe, di smorfie.
Pensai: “Forse Adelma è la città cui si arriva morendo e in cui ognuno ritrova le persone che ha conosciuto. È