Italo Calvino - Le città invisibili tanto adesso nella vecchie cartoline, mentre prima, con la Maurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattiva in piú, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella che era.
Guardatevi dal dir loro che talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomuni-cabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l’accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei. È vano chiedersi se essi so-no migliori o peggiori degli antichi, dato che non esiste tra loro alcun rapporto, cosí come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa.
Le città e il desiderio. 4.
Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta un palazzo di metallo con una sfera di vetro in ogni stanza.
Guardando dentro ogni sfera si vede una città azzurra che è il modello di un’altra Fedora. Sono le forme che la città avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per l’altra, diventata come oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno, guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era piú la stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro.
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Italo Calvino - Le città invisibili Fedora ha adesso nel palazzo delle sfere il suo museo: ogni abitante lo visita, sceglie la città che corrisponde ai suoi desideri, la contempla immaginando di specchiarsi nella peschiera delle meduse che doveva raccogliere le acque del canale (se non fosse stato prosciugato), di percorrere dall’alto del baldacchino il viale riservato agli elefanti (ora banditi dalla città), di scivolare lungo la spirale del minareto a chiocciola (che non trovò piú la base su cui sorgere).
Nella mappa del tuo impero, o grande Kan, devono trovar posto sia la grande Fedora di pietra sia le piccole Fedore nelle sfere di vetro. Non perché tutte ugualmen-te reali, ma perche tutte solo presunte. L’una racchiude ciò che è accettato come necessario mentre non lo è ancora; le altre ciò che è immaginato come possibile e un minuto dopo non lo è piú.
Le città e i segni. 3.
L’uomo che viaggia e non conosce ancora la città che lo aspetta lungo la strada, si domanda come sarà la reggia, la caserma, il mulino, il teatro, il bazar. In ogni città dell’impero ogni edificio è differente e disposto in un diverso ordine: ma appena il forestiero arriva alla città sconosciuta e getta lo sguardo in mezzo a quella pigna di pagode e abbaini e fienili, seguendo il ghirigoro di canali orti immondezzai, subito distingue quali sono i palazzi dei principi, quali i templi dei grandi sacerdoti, la locanda, la prigione, la suburra. Cosí – dice qualcuno – si conferma l’ipotesi che ogni uomo porta nella mente una città fatta soltanto di differenze, una città senza figure e senza forma, e le città particolari la riempiono.
Non cosí a Zoe. In ogni luogo di questa città si potrebbe volta a volta dormire, fabbricare arnesi, cucinare, accumulare monete d’oro, svestirsi, regnare, vendere, Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili interrogare oracoli. Qualsiasi tetto a piramide potrebbe coprire tanto il lazzaretto dei lebbrosi quanto le terme delle odalische. Il viaggiatore gira gira e non ha che dubbi: non riuscendo a distinguere i punti della città, anche i punti che egli tiene distinti nella mente gli si mescolano. Ne inferisce questo: se l’esistenza in tutti i suoi momenti è tutta se stessa, la città di Zoe è il luogo dell’esistenza indivisibile. Ma perché allora la città? Quale linea separa il dentro dal fuori, il rombo delle ruote dall’ululo dei lupi?
Le città sottili. 2.
Ora dirò della città di Zenobia che ha questo di mira-bile: benchè posta su terreno asciutto essa sorge su altis-sime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che si scavalcano l’un l’altro, collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi coperti da tettoie a cono, barili di serbatoi d’acqua, girandole marcavento, e ne sporgono carrucole, lenze e gru.
Quale bisogno o comandamento o desiderio abbia spinto i fondatori di Zenobia a dare questa forma alla lo-ro città, non si ricorda, e perciò non si può dire se esso sia stato soddisfatto dalla città quale noi oggi la vediamo, cresciuta forse per sovrapposizioni successive dal primo e ormai indecifrabile disegno. Ma quel che è certo è che chi abita a Zenobia e gli si chiede di descrivere come lui vedrebbe la vita felice, è sempre una città come Zenobia che egli immagina, con le sue palafitte e le sue scale sospese, una Zenobia forse tutta diversa, sventolante di stendardi e di nastri, ma ricavata sempre combi-nando elementi di quel primo modello.
Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da clas-sificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non e in que-Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili ste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le muta-zioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.
Le città e gli scambi. 1.
A ottanta miglia incontro al vento di maestro l’uomo raggiunge la città di Eufemia, dove i mercanti di sette nazioni convengono a ogni solstizio ed equinozio. La barca che vi approda con un carico di zenzero e bamba-gia tornerà a salpare con la stiva colma di pistacchi e se-mi di papavero, e la carovana che ha appena scaricato sacchi di noce moscata e di zibibbo già affastella i suoi basti per il ritorno con rotoli di mussola dorata. Ma ciò che spinge a risalire fiumi e attraversare deserti per venire fin qui non è solo lo scambio di mercanzie che ritrovi sempre le stesse in tutti i bazar dentro e fuori l’impero del Gran Kan, sparpagliate ai tuoi piedi sulle stesse stuoie gialle, all’ombra delle stesse tende scacciamosche, offerte con gli stessi ribassi di prezzo menzogneri. Non solo a vendere e a comprare si viene a Eufemia, ma anche perché la notte accanto ai fuochi tutt’intorno al mercato, seduti sui sacchi o sui barili, o sdraiati su mucchi di tappeti, a ogni parola che uno dice – come “lupo”, “sorella”, “tesoro nascosto”, “battaglia”, “scabbia”, “amanti” – gli altri raccontano ognuno la sua storiadi lupi, di sorelle, di tesori, di scabbia, di amanti, di battaglie. E tu sai che nel lungo viaggio che ti attende, quando per restare sveglio al dondolio del cammello o della giunca ci si mette a ripensare tutti i propri ricordi a uno a uno, il tuo lupo sarà diventato un altro lupo, tua sorella una sorella diversa, la tua battaglia altre battaglie, al ritorno da Eufemia, la città in cui ci si scambia la memoria a ogni solstizio e a ogni equinozio.
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Italo Calvino - Le città invisibili
...Nuovo arrivato e affatto ignaro delle lingue del Levante, Marco Polo non poteva esprimersi altrimenti cheestraendo oggetti dalle sue valigie: tamburi, pesci salati,collane di denti di facocero, e indicandoli con gesti, salti,grida di meraviglia o d’orrore, o imitando il latrato dellosciacallo e il chiurlio del barbagianni.
Non sempre le connessioni tra un elemento e l’altro delracconto risultavano evidenti all’imperatore; gli oggetti potevano voler dire cose diverse: un turcasso pieno di freccie in-dicava ora l’approssimarsi d’una guerra, ora abbondanza dicacciagione, oppure la bottega d’un armaiolo; una clessidrapoteva significare il tempo che passa o che è passato, oppurela sabbia, o un’officina in cui si fabbricano clessidre.
Ma ciò che rendeva prezioso a Kublai ogni fatto o notiziariferito dal suo inarticolato informatore era lo spazio che restava loro intorno, un vuoto non riempito di parole. Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano questa do-te: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero, perdercisi,fermarsi a prendere il fresco, o scappare via di corsa.
Col passare del tempo, nei racconti di Marco le paroleandarono sostituendosi agli oggetti e ai gesti: dapprimaesclamazioni, nomi isolati, secchi verbi, poi giri di frase,discorsi ramificati e frondosi, metafore e traslati. Lo straniero aveva imparato a parlare la lingua dell’imperatore, ol’imperatore a capire la lingua dello straniero.
Ma si sarebbe detto che la comunicazione fra loro fossemeno felice d’una volta: certo le parole servivano megliodegli oggetti e dei gesti per elencare le cose piú importantid’ogni provincia e città: monumenti, mercati, costumi,fauna e flora; tuttavia quando Polo cominciava a dire dicome doveva essere la vita in quei luoghi, giorno per giorno, sera dopo sera, le parole gli venivano meno, e a poco apoco tornava a ricorrere a gesti, a smorfie, a occhiate.
Cosí, per ogni città, alle notizie fondamentali enunciatein vocaboli precisi, egli faceva seguire un commento muto, Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibilialzando le mani di palma, di dorso, o di taglio, in mossediritte o oblique, spasmodiche o lente. Una nuova speciedi dialogo si stabilì tra loro: le bianche mani del GranKan, cariche di anelli, rispondevano con movimenti composti a quelle agili e nodose del mercante. Col crescered’un intesa tra loro, le mani presero ad assumere atteggia-menti stabili, che corrispondevano ognuno a un movimento dell’animo, nel loro alternarsi e ripetersi. E mentre ilvocabolario delle cose si rinnovava con i campionari dellemercanzie, il repertorio dei commenti muti tendeva achiudersi e a fissarsi. Anche il piacere a ricorrervi diminui-va in entranbi; nelle loro conversazioni restavano il piúdel tempo zitti e immobili.
III
Kublai Kan s’era accorto che le città di Marco Polo s’as-somigliavano, come se il passaggio dall’una all’altra nonimplicasse un viaggio ma uno scambio d’elementi. Adesso, da ogni città che Marco gli descriveva, la mente delGran Kan partiva per suo conto, e smontata la città pezzoper pezzo, la ricostruiva in un altro modo, sostituendo in-gredienti, spostandoli, invertendoli.
Marco intanto continuava a riferire del suo viaggio, mal’imperatore non lo stava piú a sentire,lo interrompeva:
– D’ora in avanti sarò io a descrivere le città e tu verificherai se esistono e se sono come io le ho pensate. Comin-cerò a chiederti d’una città a scale, esposta a scirocco, suun golfo a mezza luna. Ora dirò qualcuna delle meraviglieche contiene: una vasca di vetro alta come un duomo perseguire il nuoto e il volo dei pesci–rondine e trarne auspi-ci; una palma che con le foglie al vento suona l’arpa; unapiazza con intorno una tavola di marmo a ferro di cavallo,con la tovaglia pure in marmo, imbandita con cibi e be-vande tutti in marmo.
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Italo Calvino - Le città invisibili