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XII. Continuazione dell’amore dl Candido

XIII. Arrivo di Volhall. Viaggio a Copenaghen

XIV. Come Candido ritrovò la moglie e perdè l’amante

XV. Come Candido volesse ammazzarsi, e non ne facesse niente. Ciò che gli accadde in un’osteria

XVI. Candido e Cacambo si ritirano in un ospedale. Incontro ch’essi fanno

XVII. Nuovi incontri

XVIII. Seguito del disastro di Candido. Com’egli trovo la sua amante. La fine

PARTE PRIMA

CAPITOLO I (torna all’indice)

Come Candido è allevato in un bel castello e come n’è cacciato via

Era nella Vesfalia, nel castello del baron di Thunder-ten-tronckh, un giovinetto che

aveva avuto dalla natura i più dolci costumi. Se gli leggeva il cuore nel volto.

Univa egli a un giudizio molto assestato una gran semplicità di cuore, per la qual

cosa, cred’io, chiamavanlo Candido. I vecchi servitori di casa avean de’ sospetti ch’ei fosse figliuolo della sorella del signor barone, e d’un buon gentiluomo e da

bene di quel contorno, che questa signora non volle mai indursi a sposare perchè

non aveva egli potuto provare più di settantun quarti di nobiltà, il resto del suo albero genealogico essendo perito per l’ingiuria de’ tempi.

Era il signor barone uno de’ più potenti signori della Vesfalia, perchè il suo castello aveva porta e finestre; e di più sala con arazzi. Tutti i cani de’ suoi cortili componevano in caso di bisogno una muta di caccia; i suoi staffieri erano i suoi cacciatori, e il piovano del villaggio il suo grande elemosiniere. Gli davan tutti dell’Eccellenza, e ridevano quando contava delle novelle.

La signora baronessa, che pesava circa trecentocinquanta libbre, si attirava per questo un grandissimo riguardo, e faceva gli onori della casa con una dignità che

la rendeva più rispettabile ancora. La di lei figlia Cunegonda, in età di diciassett’anni, era ben colorita, fresca, grassotta, da far gola. Il figlio del barone si mostrava tutto degno germe di suo padre. Il precettore Pangloss era l’oracolo di

casa, e il giovanetto Candido ne ascoltava le lezioni con tutta la buona fede dell’età sua e del suo carattere.

Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmologo-nigologia. Provava egli a

maraviglia che non si dà effetto senza causa, e che in questo mondo, l’ottimo dei

possibili, il castello di S. E. il barone era il più bello de’ castelli, e Madama la migliore di tutte le baronesse possibili.

- È dimostrato, diceva egli, che le cose non posson essere altrimenti; perchè il tutto essendo fatto per un fine, tutto è necessariamente per l’ottimo fine.

Osservate bene che il naso è fatto per portar gli occhiali, e così si portan gli occhiali; le gambe son fatte visibilmente per esser calzate, e noi abbiamo delle calze, le pietre son state formate per tagliarle e farne dei castelli, e così S. E. ha un bellissimo castello; il più grande de’ baroni della provincia dev’essere il meglio alloggiato, e i majali essendo fatti per mangiarli, si mangia del porco tutto l’anno.

Per conseguenza quelli che hanno avanzata la proposizione che tutto è bene; han

detto una corbelleria, bisognava dire che tutto è l’ottimo.

Candido ascoltava tutto attentamente, e se lo credeva innocentemente; perch’ei trovava Cunegonda bella all’estremo, sebbene non avesse mai avuto l’ardire di dirlo a lei. Egli concludeva che dopo la fortuna di esser nato barone di Thunder-ten-tronckh, il secondo grado di felicità era d’esser Cunegonda, il terzo di vederla

tutti i giorni, il quarto di ascoltare il precettore Pangloss, il più gran filosofo della provincia, e in conseguenza del mondo.

Un giorno Cunegonda, passeggiando presso il castello in un boschetto cui si dava il nome di parco, vide tramezzo alle fratte il dottor Pangloss che dava una lezione

di fisica sperimentale alla cameriera di sua madre, vezzosa brunetta e

docilissima. Cunegonda ritornossene tutta agitata e pensosa, pensando a

Candido

L’incontrò ella nel ritornare al castello, e arrossì; Candido arrossì anch’egli; ella gli diede il buon giorno con una voce interrotta, e Candido le parlò senza saper quel

ch’ei si dicesse. Il giorno dopo nell’escir da pranzo, Cunegonda e Candido si trovarono dietro a un paravento, Cunegonda si lasciò cascare il fazzoletto, Candido lo raccattò; ella gli prese innocentemente la mano, egli innocentemente

baciolla, con una vivacità, con un trasporto, con una grazia particolarissima; le loro bocche s’incontrarono, i loro occhi inffiammaronsi, le lor ginocchia caddero, le mani si strinsero. Il signor barone di Thunder-ten-tronckh passò accanto al paravento, e vedendo questa causa e questo effetto, cacciò via Candido dal castello a pedate. Cunegonda svenne, fu schiaffeggiata dalla baronessa appena

rinvenuta che fu, ed ogni cosa fu sottosopra nel più bello e nel più delizioso di tutti i castelli possibili.

CAPITOLO II (torna all’indice)

Quel che divenne Candido fra i Bulgari

Scacciato Candido dal paradiso terrestre, vagò lungo tempo senza saper dove, piangendo, alzando gli occhi al cielo, e spesso rivolgendogli al bellissimo fra’

castelli che racchiudeva la bellissima delle baronessine. Si coricò senza cenare in

mezzo a’ campi fra due solchi, e la neve fioccava. Candido intirizzito dal freddo si

strascinò il giorno dopo verso la città vicina che chiamavasi Waldberghoff-trarbk-

dikdorff, senza un quattrino, morto di fame, e di stanchezza; si fermò pien di tristezza alla porta di un’osteria. Due uomini vestiti di turchino l’osservarono:

- Camerata, disse un di loro, ecco un giovanotto ben fatto, della statura che si vuole.

S’avanzarono verso Candido, e con tutta civiltà il pregarono a pranzar seco loro.

- Mi fan troppo onore, signori, disse lor Candido con una modestia che incantava,

ma io non ho da pagar lo scotto.

- Eh signore, replicogli un di quegli, le persone della sua figura e del suo merito

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