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in questa villetta che voi vedete. Avevo sempre creduto che il castello di Thunder-

ten-tronckh fosse quel che vi può esser di più bello nel mondo, ma mi son disingannata.

“Il grand’Inquisitore mi vide un giorno alla messa, mi adocchiò lungamente, e mi

fece dire che avea da parlarmi per affari segreti. Fui condotta al suo palazzo, gli

scopersi i miei natali, ed egli mi fece delle rimostranze di quanto disconvenisse al

mio rango l’esser in balìa d’un ebreo. Fece egli propor per sua parte a don Issaccar di cedermi a monsignore. Ma don Issaccar, ch’è il banchiere di Corte, e

un uomo di credito, non ne volle saper niente. L’inquisitore lo minacciò d’un auto-

da-fè, sicchè l’ebreo impaurito, concluse un contratto, in virtù del quale e la casa, e la mia persona appartenessero a tutti due loro in comune; ma fecero i conti senza di me, che non voglio alcuno.

“Finalmente per distornare il flagello de’ terremoti, e per impaurire don Issaccar, volle monsignor inquisitore celebrare un auto-da-fè, e mi fè l’onor d’invitarmici.

Ebbi un buonissimo posto, e fra la messa e il supplizio si servirono i rinfreschi alle dame. Mi raccapricciai per dir vero, a veder bruciar vivi quei due ebrei, e quel galantuomo di Biscaglia, che avea sposata la comare. Ma qual fu la mia sorpresa,

il mio raccapriccio, la mia agitazione, quando in sambenito e mitera vidi una figura

che rassomigliava a Pangloss! Mi stropicciai gli occhi, lo riguardai attentamente, lo vidi impiccare, e svenni. Ritornata appena in me vi vidi spogliar nudo, e fu per

me il colmo del dolore, della costernazione, della disperazione, dell’orrore. Alzai un grido, e fermate, dir volli, o barbari, fermate; ma la voce mancommi, e a nulla

avrebbero servito le mie strida. Quando fosti stato ben ben frustato -come mai può darsi, dicea fra me, che l’amabil Candido, e il saggio Pangloss si trovino a Lisbona, uno per pigliarsi cento frustate, e l’altro per farsi impiccare d’ordine di monsignore inquisitore mio cicisbeo? Pangloss mi ha dunque crudelmente

ingannata, con dirmi, che tutto quel che segue è per lo meglio?

“Agitata, smarrita, ora fuori di me; ed ora sentendomi morir di debolezza, aveva l’anima ripiena della strage di mio padre, di mia madre, e di mio fratello, di quel birbon di soldato bulgaro, della coltellata che mi aveva data, della mia condizione

servile, del mio mestiere di cuciniera, del mio capitano, di quella brutta figura di don Issaccar, di quell’abbominevole inquisitore, dell’impiccatura di Pangloss di quel gran miserere in falso bordone, e sopra tutto del bacio che dato vi aveva dietro un paravento quel giorno che io vi vidi per l’ultima volta. Ringraziai il cielo che a me si riconduceva per tante prove; e mi raccomandai alla mia vecchia, perchè si prendesse cura di voi, e vi conducesse a me più presto che si potesse.

Ella ha eseguito a maraviglia la sua commissione, ho gustato il piacere indicibile

di rivedervi, di ascoltarvi, di favellarvi. Dovete avere una fame terribile, io ho un grand’appetito, cominciamo a cenare.”

Eccoli tutti e due a tavola, e dopo la cena si ripongono a sedere, quando don Issaccar, un do’ padroni di casa, arrivò.

CAPITOLO IX (torna all’indice)

Quel che successe dl Cunegonda, di Candido, del Grand’Inquisitore e d’un

Ebreo.

Questo Issaccar era un’ebreo il più collerico che si fosse seduto in Israelle dopo la schiavitù babilonese. - Ah cagna di Galilea, diss’egli, non ti basta l’inquisitore?

Vuoi mettermi a parte anco con questo furfante?

In questo cava fuori un lungo pugnale di cui era sempre provvisto, e non credendo provveduto di alcun arme la sua parte avversa si avventa a Candido.

Ma il nostro bravo Vesfalo che insieme coll’abito di tutto punto aveva ricevuto dalla vecchia una bella spada, mette mano addirittura, e benchè fosse d’un assai

dolce costume, distende morto sul terreno l’israèlita ai piedi di Cunegonda..

- Santissima Vergine! grida ella, che sarà di noi? Un uomo ucciso in mia casa! Se

vien la giustizia siamo perduti. - Se Pangloss non fosse stato impiccato, disse Candido, ci daria qualche buon consiglio in simile estremità; egli era un gran filosofo. In sua mancanza consultiamo la vecchia.

Questa era molto prudente, e mentre cominciava a dire il suo parere, eccoti che

s’apre un’altra porticina. Era un’ora dopo mezzanotte, ed era il principio della domenica, giorno assegnato a monsignor inquisitore. Entra egli, e vede il frustato

Candido colla spada in mano, un cadavere steso per terra, Cunegonda smarrita,

e la vecchia a dar consiglio.

Ecco quel che in tal momento si presentò allo spirito di Candido, e come ei ragionò: “se questo sant’uomo grida soccorso mi farà bruciare infallibilmente e potria far l’istesso di Cunegonda. Ei mi ha fatto frustare senza pietà, egli è mio rivale, io ho già preso il verso a ammazzare, e non v’è da esitare un momento.”

Questo ragionamento fu semplice e corto, e senza dar tempo all’Inquisitore di rivenire dalla sua sorpresa, lo passa da parte a parte, e lo distende accanto all’ebreo. - Eccoti la seconda di cambio, grida Cunegonda, non c’è più remissione;

noi siamo scomunicati, è venuta per noi l’ultim’ora. Come avete potuto fare voi, che siete nato così pacifico, ad ammazzare in due minuti di tempo un prelato ed

un ebreo? - Ah, bella Cunegonda, rispose Candido, quando uno è innamorato, geloso e frustato dal Sant’Uffizio, esce fuori di sè.

La vecchia prese allor la parola: “Vi sono, diss’ella, tre cavalli d’Andalusia nella stalla, con tutto il lor fornimento; Candido li metta all’ordine, madama ha delle doppie e delle gioje; montiamo addirittura a cavallo, bench’io non possa star che

sopra una parte sola, e andiamocene a Cadice; fa il più bel tempo del mondo, ed

è proprio un piacere il viaggiar col fresco della notte.”

Candido mette immediatamente la sella al cavalli; Cunegonda, la vecchia, ed esso fan trenta miglia tutte d’un fiato. Mentre s’allontanavano, arriva alla casa la

Santa Hermandad, si sotterra monsignore in una bellissima chiesa, e si butta

Issaccar al Campaccio.

Candido, Cunegonda e la vecchia eran già nella piccola città d’Avacèna in mezzo

alle montagne della Sierra Morena, e così se la discorrevano in ‘osteria.

CAPITOLO X (torna all’indice)

In quale indigenza Candido, Cunegonda e la vecchia arrivarono a Cadice e

del loro imbarco.

- E chi poteva dunque rubarmi le mie doppie e i mie diamanti? dicea Cunegonda

Are sens