spaventevoli; non obbligare il signor barone, ch’è prete, ad ammazzarci tutti e due
per lavare nel nostro sangue la sua vergogna. Mi credi tu capace d’aver mancato
di buona voglia alla fedeltà che io ti doveva? Che volevi tu ch’io facessi in faccia a un padrone che mi trovava bella? Ecco il mio delitto, e questo non merita la tua
collera. Un delitto più grave agli occhi tuoi è quello di averti rapito la tua amante, ma questo delitto deve darti prova del mio amore. Senti, mio caro Candido, se mai ritorno bella, se… ciò non sarà che per te, mio caro Candido: noi non siamo
più in Turchia.
Questo discorso non fece molta impressione in Candido; ei chiese alcune ore per
determinarsi sul partito che aveva a prendere. Il signor barone gli accordò due ore, durante le quali ei consultò il suo amico Cacambo. Dopo pesate le ragioni del
pro e del contra, essi si determinarono a seguire il gesuita, e la sorella in Alemagna. Ecco che abbandonano l’ospedale, ed in compagnia si mettono in
cammino, non già a piede, ma su buoni cavalli, che aveva condotti il baron gesuita, e arrivano sulle frontiere del regno. Un grand’uomo d’assai cattiva cera considera attentamente i nostri eroi. - È lui, diss’egli, porgendo gli occhi sopra un pezzetto di carta: signore, s’è lecito, non vi chiamate voi Candido? - Si signore, così mi han sempre chiamato.- Me lo figuravo signore; in fatti voi avete le ciglia nere, gli occhi al pari della fronte, le orecchie d’una mediocre grandezza, il viso tondo e colorito, e per quanto pare, dovete essere di cinque piedi e cinque pollici
d’altezza. - Sì, signore, questa è la mia statura; ma che volete voi dalla mia statura e dalle mie orecchie? - Signore, non si può usare tanta circospezione quanta basti nel nostro ministero; permettetemi di farvi ancora un’altra breve dimanda: non avete voi servito il signor Volhall? - Signore, in verità, rispose Candido tutto sconcertato, io non comprendo… - Lo comprendo ben io a
maraviglia, che voi siete quello di cui m’è stato mandato il contrassegno. Datevi la
pena d’entrare nel corpo di guardia. Soldati, conducete il signore, preparate la camera bassa, e fate chiamare il fabbro per fare al signore una piccola catena di
trenta o quaranta libbre di peso. Signor Candido, voi avete là un buon cavallo; avevo giusto bisogno d’un cavallo del medesimo pelame. Ci aggiusteremo.
Il barone non ardì di reclamare il cavallo. Si strascinò Candido, e Cunegonda pianse per quattr’ore. Il gesuita non mostrò alcun dispiacere di quella catastrofe. -
Io sarei stato obbligato ad ammazzarlo, e a rimaritarvi, diss’egli alla sorella, ma considerato ogni cosa, quel che accade è molto meglio per l’onore della nostra casa.
Cunegonda partì col fratello, e non vi fu che il fedele Cacambo, che non volesse
abbandonare il suo amico.
CAPITOLO XVIII (torna all’indice)
Seguito del disastro di Candido. Com’egli trovo la sua amante. La fine.
- Oh Pangloss, dicea Candido, gran danno che siate perito miseramente! voi non
siete stato testimone che di una parte delle mie disgrazie; io speravo di farvi lasciare quell’insussistente opinione che avete sostenuta fino alla morte. Non v’è
uomo sulla terra che abbia sofferto più calamità di me, nè ve n’è uno solo che non
abbia maledetta la sua esistenza, come ce lo diceva energicamente la figlia di papa Urbano. Che sarà di me, mio caro Cacambo? - Non lo so, rispose Cacambo:
quel ch’io so è che non vi abbandonerò mai. - E Cunegonda mi ha abbandonato,
disse Candido. Ah, un amico bastardo val più d’una donna!
Candido e Cacambo così parlavano in carcere Furono tratti di là, per essere condotti a Copenaghen. Là dovea il nostro filosofo sapere il suo destino. Ei non s’aspettava che l’orribile prigione, ed i nostri lettori pur se l’aspettano, ma Candido s’ingannava, ed i nostri lettori pure s’ingannano. A Copenaghen l’aspettava la felicità. Appena vi fu arrivato, seppesi la morte di Volhall. Quel barbaro non fu compianto da alcuna persona e ciascheduno s’interessò per Candido. Furono rotti
i suoi ferri, e la libertà fu tanto più lusinghiera per lui, inquantochè gli procurò i mezzi di ritrovar Zenoide. Corse da lei, stettero un pezzo senza parlare, ma il lor
silenzio diceva tutto: piangeano, s’abbracciavano, volevan parlare, e piangevan ancora. Cacambo godeva di quello spettacolo, così tenero per un essere che è sensiblle; dividevano la gioja col loro amico, ed egli era quasi in uno stato simile al loro. - Caro Cacambo, adorabile Zenoide; grida Candido, voi cancellate dal mio cuore la traccia profonda de’ mali miei: l’amore e l’amicizia mi preparano giorni sereni e momenti preziosi. Quante prove ho passato, per giungere a questa
felicità inaspettata! Tutto è dimenticato, cara Zenoide; io vi veggo, voi m’amate, tutto va per lo meglio per me; tutto è bene nella natura
La morte di Volhall avea lasciata Zenoide padrona della sua sorte. La corte gli aveva assegnata una pensione sopra i beni di suo padre, che erano stati
confiscati; ella la ripartì con Candido e Cacambo; li tenne in casa, e fece dire per
la città che aveva ricevuto servizi sì importanti da que’ due forastieri, che la obbligavano a procurar loro tutti i beni della vita, e a riparare alla ingiustizia della fortuna verso di loro. Vi fu chi penetrò il motivo de’ suoi benefici, ed era ben facile, poichè la sua corrispondenza con Candido aveva dato malamente nell’occhio. Il maggior numero la biasimò, e non fu approvata la sua condotta che da qualche cittadino che sapea pensare. Zenoide che facea un certo caso della stima de’
pazzi, soffriva di non esser nel caso di meritarla. La morte di Cunegonda, che i corrispondenti de’ negozianti gesuiti sparsero in Copenaghen, procurò a Zenoide i
mezzi di conciliare ogni cosa. Ella fece fare una genealogia per Candido, e
l’autore, che era un uomo abile, lo fe’ discendere da una delle più antiche case d’Europa; pretese che il suo vero nome fosse Canuto, che porta uno de’ re di Danimarca, il che è verosimilissimo. Dido in uto non è una sì gran metamorfosi, e Candido, per mezzo di questo leggier cambiamento, divenne un grandissimo
signore.
Sposò Zenoide in facie Eccelesiæ, ed essi vissero sì tranquillamente quanto lo è possibile. Cacambo fu loro amico comune, e Candido diceva spesso.
- Tutto non va sì bene quanto in Eldorado, ma non va neppur tanto male.
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Come Candido è allevato in un bel castello e come n'è cacciato via