CAPITOLO XV (torna all’indice)
Come Candido volesse ammazzarsi, e non ne facesse niente. Ciò che gliaccadde in un’osteria.
- Caro Cacambo, un tempo mio servo, ora mio uguale, e sempre mio amico, tu hai meco divise alcune delle tue disgrazie, tu mi hai dato consigli giovevoli, tu hai veduto il mio amore per Cunegonda… - Ah, mio antico padrone, disse Cacambo,
fu lei che vi ha fatto il tiro più indegno e lei che dopo aver saputo dai vostri compagni, che voi amavate Zenoide e ch’ella amava voi, ha tutto rivelato al barbaro Volhall. - Se così è, disse Candido, non mi resta che morire.
Trasse il nostro filosofo dalla sua tasca un coltellino, e si mise ad arrotarlo, con una calma degna d’un antico romano o d’un inglese. - Che pretendete di fare?
chiese Cacambo. - Tagliarmi la gola, rispose Candido. - Buonissimo pensiere, replicò Cacambo; ma il saggio non deve decidersi che dopo le più mature
riflessioni: starà sempre a voi l’ammazzarvi, se la voglia non vi passa. Fate a mio
modo, mio caro padrone, rimettete la partita a domani; più differite, e più l’azione
sarà coraggiosa. - Mi piacciono le tue ragioni disse Candido: tanto se io mi tagliavo la gola addirittura, il gazzettiere di Trevoux insulterebbe ora alla mia memoria: basta così, io non mi ammazzerò che fra due o tre giorni.
Così discorrendo arrivarono a Elseneur, città considerevole, poco lontana da Copenaghen. Essi vi dormirono, e Cacambo fu contento del buon effetto che il sonno avea prodotto in Candido. Uscirono allo spuntar del giorno dalla città, e Candido sempre filosofo, perchè i pregiudizi dell’infanzia non si cancellan mai, tratteneva il suo amico Cacambo sul bene e sul mal fisico, su’ discorsi della saggia Zenoide, sulle lucenti verità che aveva ricavate nella sua conversazione. -
Se Pangloss, diceva egli, non fosse morto, io combatterei il suo sistema
vittoriosamente. Dio mi guardi di divenir manicheo, la mia amante mi ha insegnato
a rispettare il velo impenetrabile sotto il quale la divinità cela la sua maniera di operare su di noi. L’uomo è quello che da sè stesso si è forse precipitato nell’abbisso delle miserie ove egli geme. I selvaggi che noi vedemmo, non
mangiano che i gesuiti, e non vivono male fra loro, ed i selvaggi che vivono sparsi
ad uno ad uno ne’ boschi, e non campano che di ghiande e d’erbe, son
certamente più felici ancora. Dalla società son nati i più gravi delitti. Vi sono uomini nella società che son costretti, per ragion di stato, a desiderare la morte degli uomini. Il naufragio d’un vascello, l’incendio d’una casa, la perdita d’una battaglia, inducono alla mestizia una parte della società, e spargono la gioja in un’altra. Tutto va molto male, mio caro Cacambo, e non v’è per il saggio altro partito da prendere che di tagliarsi la gola più delicatamente che sia possibile. -
Avete ragione, disse Cacambo; ma io scorgo un’osteria, voi dovete aver molta sete; andiamo, mio antico padrone, beviamo un poco, e continueremo dopo i
nostri trattenimenti filosofici.
Entrarono in quell’osteria; una truppa di contadini e di contadine ballavano in mezzo al cortile, al suono di alcuni cattivi strumenti; spirava il brio da tutti i volti,
ed era uno spettacolo degno del pennello di Vatteau. Tosto che apparve Candido, una ragazza lo prese per mano e lo invitò a ballare. - Mia bella signorina, rispose
Candido, quando si è perduta la sua amante, che si è ritrovata la moglie, e che si
è saputo che il gran Pangloss è morto, non si ha voglia niente affatto di far capriole; dall’altro canto, io devo ammazzarmi domani mattina, e voi vedete che un uomo che ha poche ore da vivere, non deve perderle a ballare.
Allora Cacambo s’appressò a Candido, e gli disse: - La passione della gloria fu sempre quella de’ gran filosofi. Catone in Utica s’ammazzò dopo aver ben
dormito: Socrate ingojò la cicuta dopo essersi famigliarmente trattenuto co’ suoi amici: più inglesi si sono abbruciati il cervello nell’uscir da pranzo; ma nessun grand’uomo, che io sappia, si è tagliata la gola dopo d’aver ben ballato; a voi, mio
caro padrone, questa gloria è riservata; fate a mio modo, danziamo a crepa pancia, e doman mattina ci ammazzeremo. - Non hai tu osservato, rispose
Candido, quella contadinella brunetta quanto è piacevole? - Ella ha un non so che
di seducente disse Cacambo. Mi ha stretto la mano, riprese il nostro filosofo.
Cospetto! s’io non avessi il cuor ripieno di Zenoide.
La brunetta interruppe Candido, e di nuovo lo invitò.
Il nostro eroe lasciossi andare, ed eccolo che balla colla miglior grazia del mondo.
Dopo d’aver ballato, ed abbracciato la bella contadinotta, si ritirò al suo posto, senza invitare a ballare la padrona di casa. Nacque a un tratto un mormorio, e tutti gli attori e spettatori pareano oltraggiati d’un disprezzo così visibile. Candido non conoscea il suo errore, e non era per conseguenza in istato di rimediarlo. Un
contadinaccio gli si accostò e gli diè un pugno sul naso. Cacambo rese a quel contadinaccio una pedata nel ventre, e in un istante si fracassano gli strumenti, donne e ragazze si arruffano i ciuffi; Candido e Cacambo si battono come due eroi, e sono finalmente obbligati a prender la fuga tutti lividi di colpi.
- Tutto per me è veleno, dicea Candido, dando braccio al suo amico Cacambo: io
ho sofferto molte disgrazie, ma non mi aspettavo mai di essere tartassato di busse, per aver ballato con una contadina che mi aveva invitato a ballare.
CAPITOLO XVI (torna all’indice)
Candido e Cacambo si ritirano in un ospedale. Incontro ch’essi fanno.
Cacambo e il suo antico padrone non ne potean più, e cominciavano a dare in quella specie di malattia dell’anima che n’estingue tutte le facoltà, cadeano nell’inquietudine e nella disperazione, quando videro un ospedale eretto pei viaggiatori. Cacambo propose d’entrarvi, e Candido lo seguì. S’ebbe per loro tutta
la cura che si ha in tali abitazioni, e furono trattati per l’amor di Dio, come si suol dire. In poco tempo furono guariti dalle loro ferite, ma vi guadagnarono la rogna.
Non v’era apparenza che quella malattia fosse affare d’un giorno, e questo pensiero empieva di lacrime gli occhi di Candido, che dicea grattandosi: - Tu non
hai voluto lasciarmi tagliare la gola, mio caro Cacambo; i tuoi cattivi consigli mi immergono di nuovo nell’obbrobrio e nella sciagura; e se io voglio ora tagliarmi la