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«Ecco chi crescerà li nostri amori».

E sì come ciascuno a noi venìa,

vedeasi l'ombra piena di letizia

nel folgór chiaro che di lei uscia.

Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia non procedesse, come tu avresti

di più savere angosciosa carizia; 339

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

e per te vederai come da questi

m'era in disio d'udir lor condizioni, sì come a li occhi mi fur manifesti.

«O bene nato a cui veder li troni del trïunfo etternal concede grazia prima che la milizia s'abbandoni, del lume che per tutto il ciel si spazia noi semo accesi; e però, se disii di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».

Così da un di quelli spirti pii

detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì sicuramente, e credi come a dii».

«Io veggio ben sì come tu t'annidi nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, perch' e' corusca sì come tu ridi; ma non so chi tu se', né perché aggi, anima degna, il grado de la spera che si vela a' mortai con altrui raggi».

Questo diss' io diritto a la lumera che pria m'avea parlato; ond' ella fessi lucente più assai di quel ch'ell' era.

Sì come il sol che si cela elli stessi per troppa luce, come 'l caldo ha róse le temperanze d'i vapori spessi,

per più letizia sì mi si nascose

dentro al suo raggio la figura santa; e così chiusa chiusa mi rispuose

nel modo che 'l seguente canto canta.

CANTO VI

340

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

[Canto VI, dove, nel cielo di Mercurio, Iustiniano imperadore sotto brevità narra tutti li grandi fatti operati per li Romani sotto la 'nsegna de l'aquila, da l'avvenimento di Enea in Italia infino al tempo di Longobardi; e alcune cose si dicono qui in laude di Romeo visconte del conte Ramondo Berlinghieri di Proenza.]

«Poscia che Costantin l'aquila volse contr' al corso del ciel, ch'ella seguio dietro a l'antico che Lavina tolse, cento e cent' anni e più l'uccel di Dio ne lo stremo d'Europa si ritenne, vicino a' monti de' quai prima uscìo; e sotto l'ombra de le sacre penne governò 'l mondo lì di mano in mano, e, sì cangiando, in su la mia pervenne.

Cesare fui e son Iustinïano,

che, per voler del primo amor ch'i' sento, d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano.

E prima ch'io a l'ovra fossi attento, una natura in Cristo esser, non piùe, credea, e di tal fede era contento; ma 'l benedetto Agapito, che fue

sommo pastore, a la fede sincera

mi dirizzò con le parole sue.

Io li credetti; e ciò che 'n sua fede era, vegg' io or chiaro sì, come tu vedi ogni contradizione e falsa e vera.

Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, a Dio per grazia piacque di spirarmi l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi; e al mio Belisar commendai l'armi, 341

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

cui la destra del ciel fu sì congiunta, che segno fu ch'i' dovessi posarmi.

Or qui a la question prima s'appunta la mia risposta; ma sua condizione mi stringe a seguitare alcuna giunta, perché tu veggi con quanta ragione si move contr' al sacrosanto segno e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone.

Vedi quanta virtù l'ha fatto degno di reverenza; e cominciò da l'ora che Pallante morì per darli regno.

Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora per trecento anni e oltre, infino al fine che i tre a' tre pugnar per lui ancora.

E sai ch'el fé dal mal de le Sabine al dolor di Lucrezia in sette regi, vincendo intorno le genti vicine.

Sai quel ch'el fé portato da li egregi Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, incontro a li altri principi e collegi; onde Torquato e Quinzio, che dal cirro negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi ebber la fama che volontier mirro.

Esso atterrò l'orgoglio de li Aràbi che di retro ad Anibale passaro

l'alpestre rocce, Po, di che tu labi.

Sott' esso giovanetti trïunfaro

Are sens

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