E non pur le nature provedute
sono in la mente ch'è da sé perfetta, ma esse insieme con la lor salute: 353
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
per che quantunque quest' arco saetta disposto cade a proveduto fine,
sì come cosa in suo segno diretta.
Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine producerebbe sì li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine; e ciò esser non può, se li 'ntelletti che muovon queste stelle non son manchi, e manco il primo, che non li ha perfetti.
Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi?».
E io: «Non già; ché impossibil veggio che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi».
Ond' elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio per l'omo in terra, se non fosse cive?».
«Sì», rispuos' io; «e qui ragion non cheggio».
«E puot' elli esser, se giù non si vive diversamente per diversi offici?
Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive».
Sì venne deducendo infino a quici; poscia conchiuse: «Dunque esser diverse convien di vostri effetti le radici: per ch'un nasce Solone e altro Serse, altro Melchisedèch e altro quello che, volando per l'aere, il figlio perse.
La circular natura, ch'è suggello a la cera mortal, fa ben sua arte, ma non distingue l'un da l'altro ostello.
Quinci addivien ch'Esaù si diparte per seme da Iacòb; e vien Quirino da sì vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre a' generanti, se non vincesse il proveder divino.
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Or quel che t'era dietro t'è davanti: ma perché sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t'ammanti.
Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, com' ogne altra semente fuor di sua regïon, fa mala prova.
E se 'l mondo là giù ponesse mente al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religïone
tal che fia nato a cignersi la spada, e fate re di tal ch'è da sermone; onde la traccia vostra è fuor di strada».
CANTO IX
[Canto IX, nel quale parla madonna Cunizza di Romano, antidicendo alcuna cosa de la Marca di Trevigi; e parla Folco di Marsilia che fue vescovo d'essa.]
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, m'ebbe chiarito, mi narrò li 'nganni che ricever dovea la sua semenza; ma disse: «Taci e lascia muover li anni»; sì ch'io non posso dir se non che pianto giusto verrà di retro ai vostri danni.
E già la vita di quel lume santo
rivolta s'era al Sol che la rïempie come quel ben ch'a ogne cosa è tanto.
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Ahi anime ingannate e fatture empie, che da sì fatto ben torcete i cuori, drizzando in vanità le vostre tempie!
Ed ecco un altro di quelli splendori ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi significava nel chiarir di fori.
Li occhi di Bëatrice, ch'eran fermi sovra me, come pria, di caro assenso al mio disio certificato fermi.
«Deh, metti al mio voler tosto compenso, beato spirto», dissi, «e fammi prova ch'i' possa in te refletter quel ch'io penso!».
Onde la luce che m'era ancor nova, del suo profondo, ond' ella pria cantava, seguette come a cui di ben far giova:
«In quella parte de la terra prava italica che siede tra Rïalto