Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
Opera naturale è ch'uom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v'abbella.
Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia, I s'appellava in terra il sommo bene onde vien la letizia che mi fascia; e El si chiamò poi: e ciò convene, ché l'uso d'i mortali è come fronda in ramo, che sen va e altra vene.
Nel monte che si leva più da l'onda, fu' io, con vita pura e disonesta, da la prim' ora a quella che seconda, come 'l sol muta quadra, l'ora sesta».
CANTO XXVII
[Canto XXVII, dove tratta sì come santo Pietro appostolo, proverbiando li suoi successori papi, adempie l'animo de l'auttore di questo libro.]
'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo', cominciò, 'gloria!', tutto 'l paradiso, sì che m'inebrïava il dolce canto.
Ciò ch'io vedeva mi sembiava un riso de l'universo; per che mia ebbrezza intrava per l'udire e per lo viso.
Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita intègra d'amore e di pace!
oh sanza brama sicura ricchezza!
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Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incominciò a farsi più vivace,
e tal ne la sembianza sua divenne, qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne.
La provedenza, che quivi comparte vice e officio, nel beato coro
silenzio posto avea da ogne parte, quand' ïo udi': «Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, ché, dicend' io, vedrai trascolorar tutti costoro.
Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, fatt' ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza; onde 'l perverso che cadde di qua sù, là giù si placa».
Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane,
vid' ïo allora tutto 'l ciel cosperso.
E come donna onesta che permane
di sé sicura, e per l'altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane,
così Beatrice trasmutò sembianza; e tale eclissi credo che 'n ciel fue quando patì la supprema possanza.
Poi procedetter le parole sue
con voce tanto da sé trasmutata,
che la sembianza non si mutò piùe:
«Non fu la sposa di Cristo allevata del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d'oro usata; 442
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ma per acquisto d'esto viver lieto e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion ch'a destra mano d'i nostri successor parte sedesse, parte da l'altra del popol cristiano; né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse; né ch'io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond' io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua sù per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci?
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi s'apparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi!
Ma l'alta provedenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo, soccorrà tosto, sì com' io concipio; e tu, figliuol, che per lo mortal pondo ancor giù tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch'io non ascondo».
Sì come di vapor gelati fiocca
in giuso l'aere nostro, quando 'l corno de la capra del ciel col sol si tocca, in sù vid' io così l'etera addorno farsi e fioccar di vapor trïunfanti che fatto avien con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e seguì fin che 'l mezzo, per lo molto, 443
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li tolse il trapassar del più avanti.
Onde la donna, che mi vide assolto de l'attendere in sù, mi disse: «Adima il viso e guarda come tu se' vòlto».
Da l'ora ch'ïo avea guardato prima i' vidi mosso me per tutto l'arco che fa dal mezzo al fine il primo clima; sì ch'io vedea di là da Gade il varco folle d'Ulisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco.
E più mi fora discoverto il sito
di questa aiuola; ma 'l sol procedea sotto i mie' piedi un segno e più partito.