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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura che fosse a veder più che la persona.
Non faceva, nascendo, ancor paura la figlia al padre, ché 'l tempo e la dote non fuggien quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vòte;
non v'era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che 'n camera si puote.
Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com' è vinto nel montar sù, così sarà nel calo.
Bellincion Berti vid' io andar cinto di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio la donna sua sanza 'l viso dipinto; e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio esser contenti a la pelle scoperta, e le sue donne al fuso e al pennecchio.
Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla era per Francia nel letto diserta.
L'una vegghiava a studio de la culla, e, consolando, usava l'idïoma
che prima i padri e le madri trastulla; l'altra, traendo a la rocca la chioma, favoleggiava con la sua famiglia
d'i Troiani, di Fiesole e di Roma.
Saria tenuta allor tal maraviglia una Cianghella, un Lapo Salterello, qual or saria Cincinnato e Corniglia.
A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
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cittadinanza, a così dolce ostello, Maria mi diè, chiamata in alte grida; e ne l'antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.
Moronto fu mio frate ed Eliseo;
mia donna venne a me di val di Pado, e quindi il sopranome tuo si feo.
Poi seguitai lo 'mperador Currado; ed el mi cinse de la sua milizia, tanto per bene ovrar li venni in grado.
Dietro li andai incontro a la nequizia di quella legge il cui popolo usurpa, per colpa d'i pastor, vostra giustizia.
Quivi fu' io da quella gente turpa disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt' anime deturpa;
e venni dal martiro a questa pace».
CANTO XVI
[Canto XVI, nel quale il sopradetto messer Cacciaguida racconta intorno di quaranta famiglie onorabili al suo tempo ne la cittade di Fiorenza, de le quali al presente non è ricordo né fama.]
O poca nostra nobiltà di sangue,
se glorïar di te la gente fai
qua giù dove l'affetto nostro langue, mirabil cosa non mi sarà mai:
ché là dove appetito non si torce, dico nel cielo, io me ne gloriai.
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Ben se' tu manto che tosto raccorce: sì che, se non s'appon di dì in die, lo tempo va dintorno con le force.
Dal 'voi' che prima a Roma s'offerie, in che la sua famiglia men persevra, ricominciaron le parole mie;
onde Beatrice, ch'era un poco scevra, ridendo, parve quella che tossio