solo ne' parvoletti; poi ciascuna pria fugge che le guance sian coperte.
Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna; e tal, balbuzïendo, ama e ascolta la madre sua, che, con loquela intera, disïa poi di vederla sepolta.
Così si fa la pelle bianca nera
nel primo aspetto de la bella figlia di quel ch'apporta mane e lascia sera.
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Tu, perché non ti facci maraviglia, pensa che 'n terra non è chi governi; onde sì svïa l'umana famiglia.
Ma prima che gennaio tutto si sverni per la centesma ch'è là giù negletta, raggeran sì questi cerchi superni, che la fortuna che tanto s'aspetta, le poppe volgerà u' son le prore, sì che la classe correrà diretta; e vero frutto verrà dopo 'l fiore».
CANTO XXVIII
[Canto XXVIII, nel quale Beatrice distingue a l'auttore li nove ordini de li angeli gloriosi che sono nel nono cielo e il loro offizio.]
Poscia che 'ncontro a la vita presente d'i miseri mortali aperse 'l vero quella che 'mparadisa la mia mente, come in lo specchio fiamma di doppiero vede colui che se n'alluma retro, prima che l'abbia in vista o in pensiero, e sé rivolge per veder se 'l vetro li dice il vero, e vede ch'el s'accorda con esso come nota con suo metro; così la mia memoria si ricorda
ch'io feci riguardando ne' belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda.
E com' io mi rivolsi e furon tocchi 446
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li miei da ciò che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s'adocchi, un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che 'l viso ch'elli affoca chiuder conviensi per lo forte acume; e quale stella par quinci più poca, parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca.
Forse cotanto quanto pare appresso alo cigner la luce che 'l dipigne quando 'l vapor che 'l porta più è spesso, distante intorno al punto un cerchio d'igne si girava sì ratto, ch'avria vinto quel moto che più tosto il mondo cigne; e questo era d'un altro circumcinto, e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo sì sparto già di larghezza, che 'l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto.
Così l'ottavo e 'l nono; e chiascheduno più tardo si movea, secondo ch'era in numero distante più da l'uno;
e quello avea la fiamma più sincera cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei s'invera.
La donna mia, che mi vedëa in cura forte sospeso, disse: «Da quel punto depende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che più li è congiunto; e sappi che 'l suo muovere è sì tosto per l'affocato amore ond' elli è punto».
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E io a lei: «Se 'l mondo fosse posto con l'ordine ch'io veggio in quelle rote, sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto; ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto più divine,
quant' elle son dal centro più remote.
Onde, se 'l mio disir dee aver fine in questo miro e angelico templo
che solo amore e luce ha per confine, udir convienmi ancor come l'essemplo e l'essemplare non vanno d'un modo, ché io per me indarno a ciò contemplo».
«Se li tuoi diti non sono a tal nodo sufficïenti, non è maraviglia:
tanto, per non tentare, è fatto sodo!».
Così la donna mia; poi disse: «Piglia quel ch'io ti dicerò, se vuo' saziarti; e intorno da esso t'assottiglia.
Li cerchi corporai sono ampi e arti secondo il più e 'l men de la virtute che si distende per tutte lor parti.
Maggior bontà vuol far maggior salute; maggior salute maggior corpo cape, s'elli ha le parti igualmente compiute.
Dunque costui che tutto quanto rape l'altro universo seco, corrisponde al cerchio che più ama e che più sape: per che, se tu a la virtù circonde la tua misura, non a la parvenza
de le sustanze che t'appaion tonde, tu vederai mirabil consequenza
di maggio a più e di minore a meno, in ciascun cielo, a süa intelligenza».
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