Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
Come rimane splendido e sereno
l'emisperio de l'aere, quando soffia Borea da quella guancia ond' è più leno, per che si purga e risolve la roffia che pria turbava, sì che 'l ciel ne ride con le bellezze d'ogne sua paroffia; così fec'ïo, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide.
E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
L'incendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che 'l numero loro più che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla.
Io sentiva osannar di coro in coro al punto fisso che li tiene a li ubi, e terrà sempre, ne' quai sempre fuoro.
E quella che vedëa i pensier dubi ne la mia mente, disse: «I cerchi primi t'hanno mostrato Serafi e Cherubi.
Così veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno; e posson quanto a veder son soblimi.
Quelli altri amori che 'ntorno li vonno, si chiaman Troni del divino aspetto, per che 'l primo ternaro terminonno; e dei saper che tutti hanno diletto quanto la sua veduta si profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto.
Quinci si può veder come si fonda l'esser beato ne l'atto che vede, 449
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non in quel ch'ama, che poscia seconda; e del vedere è misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia: così di grado in grado si procede.
L'altro ternaro, che così germoglia in questa primavera sempiterna
che notturno Arïete non dispoglia, perpetüalemente 'Osanna' sberna
con tre melode, che suonano in tree ordini di letizia onde s'interna.
In essa gerarcia son l'altre dee: prima Dominazioni, e poi Virtudi; l'ordine terzo di Podestadi èe.
Poscia ne' due penultimi tripudi
Principati e Arcangeli si girano; l'ultimo è tutto d'Angelici ludi.
Questi ordini di sù tutti s'ammirano, e di giù vincon sì, che verso Dio tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dïonisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise, che li nomò e distinse com' io.
Ma Gregorio da lui poi si divise; onde, sì tosto come li occhi aperse in questo ciel, di sé medesmo rise.
E se tanto secreto ver proferse
mortale in terra, non voglio ch'ammiri: ché chi 'l vide qua sù gliel discoperse con altro assai del ver di questi giri».
CANTO XXIX
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[Canto XXIX, ove si tratta de la superbia e cacciamento de li rei e malvagi angeli e de la dilezione e gloria de' buoni; e infine si riprende tutti coloro che predicando si partono dal santo Evangelio e dicono favole; e contiencisi in questo canto certe declaragioni di certe oscuritadi del celestiale regno.]
Quando ambedue li figli di Latona, coperti del Montone e de la Libra, fanno de l'orizzonte insieme zona, quant' è dal punto che 'l cenìt inlibra infin che l'uno e l'altro da quel cinto, cambiando l'emisperio, si dilibra, tanto, col volto di riso dipinto, si tacque Bëatrice, riguardando
fiso nel punto che m'avëa vinto.
Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, quel che tu vuoli udir, perch' io l'ho visto là 've s'appunta ogne ubi e ogne quando.
Non per aver a sé di bene acquisto, ch'esser non può, ma perché suo splendore potesse, risplendendo, dir "Subsisto", in sua etternità di tempo fore,
fuor d'ogne altro comprender, come i piacque, s'aperse in nuovi amor l'etterno amore.
Né prima quasi torpente si giacque; ché né prima né poscia procedette lo discorrer di Dio sovra quest' acque.