mese. Mi dicevo: non si può baciare, toccare una persona, farsi toccare, ed essergli solo un poco affezionata; Lila vuole bene a Stefano moltissimo, io ad Antonio no.
Passò il tempo e non riuscii mai a trovare il momento adatto per parlargli.
Era preoccupato. Col caldo Melina in genere peggiorava, ma nella seconda metà di agosto il peggioramento diventò vistoso. Le era tornato in mente Sarratore, che lei chiamava Donato. Diceva di averlo visto, diceva che era venuto a prenderla, i figli non sapevano come fare a calmarla. A me venne l’ansia che Sarratore fosse veramente comparso per le vie del rione e che non cercasse Melina ma me. La notte mi svegliavo di soprassalto con l’impressione che fosse entrato dalla finestra e stesse nella stanza. Poi mi calmai, pensai: sarà in vacanza a Barano, ai Maronti, non certo qui, con questo caldo, le mosche, la polvere.
Ma una mattina che stavo andando a fare la spesa mi sentii chiamare. Mi girai e lì per lì non lo riconobbi. Poi misi a fuoco i baffi neri, i lineamenti piacevoli dorati dal sole, la bocca con le labbra sottili. Tirai diritto, lui mi venne dietro. Disse che lo aveva fatto soffrire non ritrovarmi a casa di Nella, a Barano, quell’estate. Disse che non pensava che a me, che senza di me non poteva vivere. Disse che per dare una forma al nostro amore aveva scritto molte poesie e che avrebbe voluto leggermele. Disse che voleva vedermi, parlarmi con agio, e che se mi fossi rifiutata si sarebbe ucciso. Allora mi fermai e gli sibilai che mi doveva lasciare in pace, che ero fidanzata, che non volevo vederlo mai più. Si disperò. Mormorò che mi avrebbe aspettato per sempre, che ogni giorno a mezzogiorno sarebbe stato all’ingresso del tunnel sullo stradone. Scossi la testa energicamente: non ci sarei mai andata. Si protese per baciarmi, io saltai indietro con un moto di ribrezzo, fece un sorriso di disappunto. Mormorò: «Sei brava, sei sensibile, ti porterò le poesie a cui tengo di più» e se ne andò.
Ero spaventatissima, non sapevo cosa fare. Decisi di ricorrere ad Antonio.
La sera stessa, agli stagni, gli dissi che sua madre aveva ragione, Donato Sarratore si aggirava per il quartiere. Mi aveva fermato per strada. Mi aveva chiesto di dire a Melina che lui l’avrebbe aspettata sempre, tutti i giorni, all’imbocco del tunnel, a mezzogiorno. Antonio diventò cupo, mormorò:
«Che devo fare?». Gli dissi che l’avrei accompagnato io stessa all’appuntamento e che insieme avremmo fatto a Sarratore un discorso chiaro sullo stato di salute di sua madre.
Non dormii tutta la notte per la preoccupazione. Il giorno dopo andammo
******ebook converter DEMO Watermarks*******
al tunnel. Antonio era taciturno, camminava senza fretta, sentivo che aveva addosso un peso che lo rallentava. Una parte di lui era furibonda e l’altra in soggezione. Pensai con rabbia: è stato capace di andare ad affrontare i Solara per sua sorella Ada, per Lila, ma ora è intimidito, Donato Sarratore ai suoi occhi è una persona importante, di prestigio. Sentirlo così mi rese più determinata, avrei voluto scuoterlo, gridargli: tu non hai scritto nessun libro, ma sei molto meglio di quell’uomo. Mi limitai a prenderlo sottobraccio.
Quando Sarratore ci vide da lontano cercò di sparire in fretta nel buio del tunnel. Io lo chiamai:
«Signor Sarratore».
Si girò malvolentieri.
Gli dissi, dandogli del lei, cosa all’epoca fuori del comune nel nostro ambiente:
«Non so se si ricorda Antonio, è il figlio maggiore della signora Melina».
Sarratore tirò fuori una voce squillante, molto affettuosa:
«Certo che me lo ricordo, ciao Antonio».
«Io e lui siamo fidanzati».
«Ah, bene».
«E abbiamo parlato molto, ora le spiegherà».
Antonio capì che era arrivato il suo momento e disse pallidissimo, teso, faticando a parlare in italiano:
«Sono molto contento di vedervi, signor Sarratore, io non dimentico. Vi sarò sempre grato per quello che avete fatto per noi dopo la morte di mio padre. Vi ringrazio soprattutto per avermi sistemato nell’officina del signor Gorresio, devo a voi se ho imparato un mestiere».
«Digli di tua madre» lo incalzai nervosa.
Lui si seccò, mi fece cenno di stare zitta. Continuò:
«Voi però non vivete più nel rione e non avete chiara la situazione. Mia madre, se solo sente il vostro nome, perde la testa. E se vi vede, se vi vede anche una volta sola, finisce al manicomio».
Sarratore annaspò:
«Antonio, figlio mio, io non ho mai avuto nessuna intenzione di fare del male a tua madre. Tu giustamente ti ricordi quanto mi sono prodigato per voi.
E infatti ho sempre e soltanto voluto aiutare lei e voi tutti».
«Allora se volete continuare ad aiutarla non la cercate, non le mandate libri, non vi fate vedere nel rione».
«Questo non me lo puoi chiedere, non mi puoi impedire di rivedere luoghi
******ebook converter DEMO Watermarks*******
che mi sono cari» disse Sarratore con una voce calda, artificialmente commossa.
Quella tonalità m’indignò. La conoscevo, l’aveva usata spesso a Barano, sulla spiaggia dei Maronti. Era pastosa, carezzevole, la tonalità che lui s’immaginava dovesse avere un uomo di spessore che scriveva versi e articoli sul Roma. Fui sul punto di intervenire, ma Antonio, stupendomi, mi precedette. Curvò le spalle, insaccò la testa e intanto allungò una mano verso il torace di Donato Sarratore urtandolo con le sue dita potenti. Disse in dialetto:
«Io non ve lo impedisco. Però vi prometto che se voi togliete a mia madre quel poco di ragione che le è rimasta, vi passerà per sempre la voglia di rivedere questi posti di merda».
Sarratore diventò pallidissimo.
«Sì» disse in fretta, «ho capito, grazie».
Girò i tacchi e se la batté in direzione della stazione.
Mi infilai sottobraccio ad Antonio, fiera di quella sua impennata, ma mi accorsi che stava tremando. Pensai, forse per la prima volta, a cosa doveva essere stata per lui, da ragazzino, la morte del padre, e poi il lavoro, la responsabilità che gli era caduta addosso, il crollo di sua madre. Lo tirai via piena d’affetto e mi diedi un’altra scadenza: lo lascerò dopo il matrimonio di Lila, mi dissi.
******ebook converter DEMO Watermarks*******
51.