"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » Italian Books » 🤍🤍🤍✨,,L'amica geniale'' di Elena Ferrante🤍🤍🤍✨

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punto e daccapo, si finiva a urla, a oggetti spaccati.

Lanciavo uno sguardo e filavo via diritto. Ma mi restavano impressi i quadretti appesi alle pareti. Pensavo: “Quei disegni, per Lila, sono stati una fantasticheria, il denaro non c’entra, non c’entra vendersi. Tutto questo lavorio è il risultato finale di un suo estro, celebrato da Stefano solo per amore. Beata lei che è così amata, che ama. Beata lei che è adorata per quel che è e per ciò che sa inventare. Ora che ha dato al fratello quello che il fratello voleva, ora che l’ha tolto dai pericoli, s’inventerà sicuramente dell’altro. Perciò non voglio perderla di vista. Qualcosa accadrà”.

Ma non accadde niente. Lila si stabilizzò nel ruolo di fidanzata di Stefano.

E anche nei discorsi che facevamo, quando trovavo un po’ di tempo, mi sembrò sempre soddisfatta di ciò che era diventata, come se oltre non vedesse più niente, non volesse vedere più niente, se non il matrimonio, una casa, figli.

Ci rimasi male. Sembrava addolcita, senza più le asprezze di sempre. Me ne resi conto tempo dopo, quando attraverso Gigliola Spagnuolo mi arrivarono voci infamanti sul suo conto.

Gigliola mi disse con astio, in dialetto:

«Adesso la tua amica fa la principessa. Ma lo sa Stefano che quando Marcello andava a casa sua lei gli faceva un bocchino tutte le sere?».

Ignoravo cosa fosse un bocchino. La parola mi era nota fin da bambina ma il suo suono rimandava solo una specie di sfregio, qualcosa di molto umiliante.

«Non è vero».

«Marcello così dice».

«È bugiardo».

«Sì? E dice le bugie pure a suo fratello?».

«A te l’ha detto Michele?».

«Sì».

Sperai che quelle dicerie non arrivassero a Stefano. Ogni volta che tornavo da scuola mi dicevo: forse devo avvisare Lila, prima che succeda qualcosa di brutto. Ma temevo che s’infuriasse e che, per come era cresciuta, per come era fatta, andasse direttamente da Marcello Solara col trincetto. Comunque alla fine mi decisi: era meglio riferirle ciò che avevo appreso, così si sarebbe preparata a fronteggiare la situazione. Ma scoprii che sapeva già tutto. Non solo: era più informata di me su cos’era un bocchino. Me ne accorsi dal fatto che usò una formula più chiara per dirmi che lei quella cosa non l’avrebbe

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fatta mai a nessun uomo, tanto le faceva schifo, figuriamoci a Marcello Solara. Poi mi raccontò che la voce era già arrivata a Stefano e che lui le aveva chiesto che tipo di rapporti c’erano stati tra lei e Marcello nel periodo in cui aveva frequentato casa Cerullo. Lei gli aveva risposto con rabbia:

«Nessuno, sei pazzo?». E Stefano s’era affrettato a rispondere che le credeva, che non aveva mai avuto dubbi, che quella domanda gliel’aveva fatta solo per farle sapere che Marcello raccontava porcherie sul suo conto. Ma intanto aveva preso un’espressione svagata, di chi, anche senza volerlo, va dietro a scene di scempio che gli si formano nella testa. Lila se n’era accorta e avevano discusso a lungo, gli aveva confessato che anche lei sentiva un bisogno di sangue alle mani. Ma a che serviva? Parla e parla, alla fine avevano deciso di mettersi di comune accordo un gradino più su dei Solara, della logica del rione.

«Un gradino più su?» le chiesi meravigliata.

«Sì, ignorarli: Marcello, suo fratello, il padre, il nonno, tutti. Fare come se non esistessero».

Così Stefano aveva continuato col suo lavoro senza difendere l’onore della sua promessa sposa, Lila aveva continuato con la sua vita di fidanzata senza ricorrere al trincetto o ad altro, i Solara avevano continuato a diffondere oscenità. La lasciai, ero stupefatta. Cosa stava accadendo? Non capivo. Mi sembrava più chiaro il comportamento dei Solara, mi sembrava coerente con il mondo che conoscevamo fin da bambini. Lei e Stefano invece cosa avevano in mente, dove pensavano di vivere? Si comportavano in un modo che non si trovava nemmeno nei poemi che studiavo a scuola, nei romanzi che leggevo. Ero perplessa. Non reagivano alle offese, anche a quella veramente insopportabile che gli stavano facendo i Solara. Sfoggiavano gentilezza e cortesia con tutti, come se fossero John e Jacqueline Kennedy in visita a un quartiere di pezzenti. Quando uscivano a passeggio insieme, con lui che le teneva un braccio intorno alle spalle, sembrava che nessuna delle vecchie regole valesse per loro: ridevano, scherzavano, si stringevano, si baciavano sulle labbra. Li vedevo sfrecciare nella decappottabile, da soli anche la sera, sempre vestiti come attori del cinema, e pensavo: se ne vanno chissà dove senza sorveglianza, e non di nascosto ma col consenso dei genitori, col consenso di Rino, a fare le cose loro senza dar peso a ciò che dice la gente. Era Lila a piegare Stefano a quei comportamenti che ne stavano facendo la coppia più ammirata e più chiacchierata del rione? Era quella l’ultima novità che s’era inventata? Voleva uscire dal rione restando nel

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rione? Voleva trascinarci fuori da noi stessi, strapparci la vecchia pelle e imporcene una nuova, adeguata a quella che si stava inventando lei?

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47.

Tutto ritornò bruscamente nei binari consueti quando le voci su Lila arrivarono fino a Pasquale. Successe una domenica, mentre io, Carmela, Enzo, Pasquale e Antonio eravamo a passeggio lungo lo stradone. Antonio disse: «Mi hanno detto che Marcello Solara racconta a tutti che Lina è stata con lui».

Enzo non batté ciglio, Pasquale si accese subito: «Stata come?».

Antonio s’imbarazzò per la presenza mia e di Carmela e disse: «Hai capito».

Ci distanziarono, parlarono tra loro. Vidi e sentii che Pasquale s’infuriava sempre di più, che Enzo diventava fisicamente sempre più compatto, come se non avesse più braccia, gambe, collo, e fosse un blocco di materia dura.

Perché, mi chiedevo, com’è che se la prendono tanto? Lila non è una loro sorella e nemmeno una loro cugina. Eppure si sentono in dovere di indignarsi, tutti e tre, più di Stefano, molto più di Stefano, come se fossero loro i veri fidanzati. Pasquale soprattutto mi parve ridicolo. Lui che solo poco tempo prima aveva detto quello che aveva detto, strillò a un certo punto, e lo sentimmo bene, con queste orecchie: «Io gli spacco la faccia a chillu strunz, la sta facendo passare per una zoccola. Ma se Stefano glielo permette, sicuramente non glielo permette il sottoscritto». Poi silenzio, si riunirono a noi e bighellonammo fiaccamente, io che chiacchieravo con Antonio, Carmela che stava tra suo fratello e Enzo. Dopo un po’ ci riaccompagnarono a casa. Li vidi allontanarsi, Enzo che era il più basso al centro e Antonio e Pasquale ai lati.

Il giorno dopo e nei giorni seguenti si fece un gran parlare del Millecento dei Solara. Era stato ridotto a pezzi. Non solo: i due fratelli erano stati selvaggiamente picchiati, ma non sapevano dire da chi. Giuravano di essere stati aggrediti in una stradina buia da almeno dieci persone, gente venuta da fuori. Ma io e Carmela sapevamo benissimo che gli aggressori erano solo tre e ci sentimmo molto preoccupate. Aspettammo le inevitabili ritorsioni per un giorno, due, tre. Ma evidentemente le cose erano state fatte per bene.

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Pasquale seguitò a fare il muratore, Antonio il meccanico, Enzo a girare con la carretta. I Solara, invece, per qualche tempo si mossero solo a piedi, malconci, un po’ smarriti, sempre insieme a quattro o cinque loro amici.

Ammetto che vederli in quelle condizioni mi rallegrò. Fui fiera dei miei amici. Insieme a Carmen e Ada criticai Stefano e anche Rino perché avevano fatto finta di niente. Poi passò il tempo, Marcello e Michele si comprarono una Giulietta verde e ricominciarono ad atteggiarsi a padroni del rione. Vivi e vegeti, più prepotenti di prima. Segno che forse Lila aveva ragione: la gente di quella risma bisognava combatterla conquistandosi una vita superiore, di quelle che loro non potevano nemmeno immaginare. Mentre facevo gli esami di quinto ginnasio, mi annunciò che in primavera, a poco più di sedici anni, si sarebbe sposata.

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48.

Quella notizia mi sconvolse. Quando Lila mi disse del suo matrimonio si era in giugno, a poche ore dagli orali. Cosa prevedibile, certo, ma ora che era stata fissata una data, 12 marzo, mi sembrò di sbattere per distrazione contro una porta. Feci pensieri meschini. Contai i mesi: nove. Forse nove mesi erano abbastanza lunghi perché l’astio perfido di Pinuccia, l’ostilità di Maria, le dicerie di Marcello Solara che continuavano a volare di bocca in bocca per tutto il rione come la Fama nell’ Eneide, logorassero Stefano portandolo alla rottura del fidanzamento. Mi vergognai di me, ma non ce la feci più a rintracciare un disegno coerente anche nella divaricazione dei nostri destini.

La concretezza di quella data rese concreto il bivio che avrebbe allontanato le nostre vite l’una dall’altra. E, quel che è peggio, diedi per certo che la sua sorte sarebbe stata migliore della mia. Sentii più forte che mai l’insignificanza della via degli studi, ebbi chiaro che l’avevo imboccata anni prima soltanto per apparire invidiabile a Lila. E invece lei, adesso, non attribuiva ai libri più nessun peso. Smisi di prepararmi per l’esame, non dormii la notte. Pensai alla mia poverissima esperienza amorosa: avevo baciato una volta Gino, avevo sfiorato appena le labbra di Nino, avevo subìto i fugaci e laidi contatti di suo padre: tutto qui. Lila invece da marzo, a sedici anni, avrebbe avuto un marito e nel giro di un anno, a diciassette, un figlio, e poi un altro ancora, e un altro, e un altro. Mi sentii un’ombra, piansi disperata.

Il giorno dopo andai svogliatamente a dare gli esami. Ma successe una cosa che mi fece sentire meglio. Il professor Gerace e la professoressa Galiani, che faceva parte della commissione, lodarono moltissimo il mio compito di italiano. Gerace in particolare disse che l’esposizione era ulteriormente migliorata. Volle leggere un passo al resto della commissione.

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