– Quanto ti debbo ringraziare! – disse il burattino.
– Non c’è bisogno, – replicò il cane. – Tu salvasti me, e quel che è fatto, è reso. Si sa: in questo mondo bisogna tutti aiutarsi l’uno coll’altro.
– Ma come mai sei capitato in quella grotta?
– Ero sempre qui disteso sulla spiaggia più morto che vivo, quando il vento mi ha portato da lontano un odorino di frittura. Quell’odorino mi ha stuzzicato l’appetito, e io gli sono andato dietro.
Se arrivavo un minuto più tardi!...
– Non me lo dire! – urlò Pinocchio che tremava ancora dalla paura. – Non me lo dire! Se tu arrivavi un minuto più tardi, a quest’ora io ero bell’e fritto, mangiato e digerito. Brrr!... mi vengono i brividi soltanto a pensarvi!...
Alidoro, ridendo, stese la zampa destra verso il burattino, il quale gliela strinse forte forte in segno di grande amicizia: e dopo si lasciarono.
Il cane riprese la strada di casa: e Pinocchio, rimasto solo, andò a una capanna lì poco distante, e domandò a un vecchietto che stava sulla porta a scaldarsi al sole:
– Dite, galantuomo, sapete nulla di un povero ragazzo ferito nel capo e che si chiamava Eugenio?...
– Il ragazzo è stato portato da alcuni pescatori in questa capanna, e ora...
Ora sarà morto!... – interruppe Pinocchio con gran dolore.
– No: ora è vivo, ed è già ritornato a casa sua.
– Davvero, davvero? – gridò il burattino, saltando dall’allegrezza. – Dunque la ferita non era grave?
– Ma poteva riuscire gravissima e anche mortale, – rispose il vecchietto, – perché gli tirarono sul capo un grosso libro rilegato in cartone.
– E chi glielo tirò?
Letteratura italiana Einaudi
110
Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio
– Un suo compagno di scuola: un certo Pinocchio...
– E chi è questo Pinocchio? – domandò il burattino facendo lo gnorri.
– Dicono che sia un ragazzaccio, un vagabondo, un vero rompicollo...
– Calunnie! Tutte calunnie!
– Lo conosci tu questo Pinocchio?
– Di vista! – rispose il burattino.
– E tu che concetto ne hai? – gli chiese il vecchietto.
– A me mi pare un gran buon figliuolo, pieno di voglia di studiare, ubbidiente, affezionato al suo babbo e alla sua famiglia...
Mentre il burattino sfilava a faccia fresca tutte queste bugie, si toccò il naso e si accorse che il naso gli s’era al-lungato più d’un palmo. Allora tutto impaurito cominciò a gridare:
– Non date retta, galantuomo, a tutto il bene che ve ne ho detto: perché conosco benissimo Pinocchio e posso assicurarvi anch’io che è davvero un ragazzaccio, un disubbidiente e uno svogliato, che invece di andare a scuola, va coi compagni a fare lo sbarazzino!
Appena ebbe pronunziate queste parole, il suo naso raccorcì e tornò della grandezza naturale, come era prima.
– E perché sei tutto bianco a codesto modo? – gli domandò a un tratto il vecchietto.
– Vi dirò... senza avvedermene, mi sono strofinato a un muro, che era imbiancato di fresco, – rispose il burattino, vergognandosi a confessare che lo avevano infarinato come un pesce, per poi friggerlo in padella.
– O della tua giacchetta, dè tuoi calzoncini e del tuo berretto che cosa ne hai fatto?
– Ho incontrato i ladri e mi hanno spogliato.
Dite, buon vecchio, non avreste per caso da darmi un po’ di vestituccio, tanto perché io possa ritornare a casa?
Letteratura italiana Einaudi
111
Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio
– Ragazzo mio, in fatto di vestiti, io non ho che un piccolo sacchetto, dove ci tengo i lupini. Se vuoi, piglialo: eccolo là.
E Pinocchio non se lo fece dire due volte: prese subito il sacchetto dei lupini che era vuoto, e dopo averci fatto colle forbici una piccola buca nel fondo e due buche dalle parti, se lo infilò a uso camicia. E vestito leggerino a quel modo, si avviò verso il paese.
Ma, lungo la strada, non si sentiva punto tranquillo; tant’è vero che faceva un passo avanti e uno indietro e, discorrendo da se solo, andava dicendo:
– Come farò a presentarmi alla mia buona Fatina?
Che dirà quando mi vedrà?... Vorrà perdonarmi questa seconda birichinata?... Scommetto che non me la perdona!... Oh! Non me la perdona di certo...
E mi sta il dovere: perché io sono un monello che prometto sempre di correggermi, e non mantengo mai!...
Arrivò al paese che era già notte buia, e perché faceva tempaccio e l’acqua veniva giù a catinelle, andò diritto diritto alla casa della Fata coll’animo risoluto di bussare alla porta e di farsi aprire.
Ma, quando fu lì, sentì mancarsi il coraggio, e invece di bussare si allontanò, correndo, una ventina di passi.
Si avvicinò una seconda volta alla porta, e non concluse nulla: si avvicinò una terza volta, e nulla: la quarta volta prese, tremando, il battente di ferro in mano, e bussò un piccolo colpettino.
Aspetta, aspetta, finalmente dopo mezz’ora si aprì una finestra dell’ultimo piano (la casa era di quattro piani) e Pinocchio vide affacciarsi una grossa Lumaca, che aveva un lumicino acceso sul capo, la quale disse:
– Chi è a quest’ora?
– La Fata è in casa? – domandò il burattino.
– La Fata dorme e non vuol essere svegliata: ma tu chi sei?