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– Sé m’è permesso di fare una modesta osservazione –

disse Uriah Heep, con una contorsione – convengo pienamente con la signora Betsey Trotwood, e sarei felicissimo di avere anche Agnese per socia.

– Contentatevi d’esser socio voi – rispose mia zia. – Vi deve bastare, credo. Come state, signore?

In risposta a questa domanda, formulata in tono assai brusco, il signor Heep, stringendo con aria impacciata la borsa azzurra che aveva con sé, disse che stava benissimo, ringraziava mia zia, e sperava lo stesso di lei.

– E voi, signorino... dovrei dire signor Copperfield –

continuò Uriah, – spero che stiate molto bene. Son lieto di rivedervi, signor Copperfield, anche nelle circostanze attuali. – Lo credevo bene; perché mi pareva ch’egli ne avesse un gran piacere. – Le circostanze attuali non sono ciò che gli amici vi augurano, signor Copperfield, ma il denaro non fa l’uomo: lo fa in vece... veramente non sono in grado con le mie modeste facoltà di esprimere ciò che lo fa – disse Uriah con un tratto servile –

ma certo non è il danaro.

Così dicendo mi strinse la mano; non al modo di tutti, ma mantenendosi a una certa distanza da me, e solle-vandomi la mano su e giù, come il manico d’una pompa, della quale avesse una certa paura.

– E come vi sembra che noi stiamo, signorino Copperfield... dovrei dire signore – continuò Uriah con adula-917

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zione. – Non trovate il signor Wickfield d’aspetto assai florido, signore? Gli anni non contano molto nella nostra società, signorino Copperfield, tranne nel sollevare gli umili, cioè la mamma e me... e nello sviluppare... –

aggiunse con una riflessione tardiva – le belle, cioè la signorina Agnese.

Egli si contorse, dopo aver espresso questo complimento, in modo così insopportabile, che mia zia, che lo guardava fisso, perse ogni pazienza.

– Che il diavolo vi porti – disse mia zia, brutalmente: –

che avete? Vi ha morso la tarantola, signore!

– Vi chiedo scusa, signora Trotwood – rispose Uriah: –

so che voi siete piuttosto nervosa.

– Non dite sciocchezze, signore! – disse mia zia tutt’altro che placata. – Vi prego di star zitto. Sognate dicendo che io sono nervosa! Se siete un’anguilla, signore, fate l’anguilla; ma se siete un uomo, state un momento fermo. E per l’amor del Cielo – disse mia zia con grande indignazione – non mi fate più girar la testa col contor-cervi continuamente come un serpente o come un cavaturaccioli!

Il signor Heep fu, come sarebbe stato altri al suo posto, piuttosto umiliato da questo scatto, il quale attinse una nuova forza dall’aria d’indignazione con la quale mia zia dopo si trasse indietro con la sedia, scotendo il capo, come se volesse saltargli addosso. Ma egli mi disse a 918

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parte, mellifluamente:

– So benissimo, signorino Copperfield, che la signora Trotwood, con tutte le sue bellissime qualità, ha un carattere impulsivo. Ho il piacere di conoscerla da quando ero un modesto scrivano, prima che la conosceste voi, signor Copperfield, e mi spiego benissimo come si mostri più impulsiva ancora nelle circostanze attuali. Mi meraviglio anzi che non sia peggio. Son venuto soltanto per dirvi che se v’è qualche cosa che noi possiamo fare, nella circostanza attuale, la mamma e io, o Wickfield e Heep, noi faremo tutto quanto ci sarà possibile. Forse mi spingo troppo? – disse Heep con un orribile sorriso al suo socio.

– Uriah Heep – disse il signor Wickfield, con sforzo e con monotonia – è molto attivo negli affari, Trotwood.

Io approvo tutto ciò che dice. Sapete che vi voglio bene da tanto tempo: ma, a parte questo, approvo pienamente ciò che dice Uriah.

– Per me è una grande soddisfazione – disse Uriah, contraendo una gamba, a rischio d’attirarsi un altro rabbuffo da mia zia – tanta fiducia. Ma mi lusingo d’essere in grado di far qualche cosa per alleviarlo dalle fatiche degli affari, signorino Copperfield.

– Uriah Heep m’è di grande aiuto – disse il signor Wickfield, nello stesso tono di voce. – È un peso di meno per me, Trotwood, avere un socio come lui.

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Era quel volpone rossigno che gli faceva dir così, per mostrarmisi nell’aspetto che s’era assunto in casa mia, quella notte ch’era venuto a turbare il mio riposo. Gli vidi in faccia lo stesso sinistro sorriso, mentre non mi perdeva d’occhio.

– Voi non ci lascerete, papà – disse Agnese, con ansia. –

Poi ce ne andremo a piedi, accompagnati da Trotwood.

Egli avrebbe consultato con lo sguardo Uriah, immagino, prima di rispondere, se quella degna persona non lo avesse prevenuto.

– Io ho un appuntamento per affari – disse Uriah – altrimenti sarei stato felice di rimaner qui con i miei amici.

Ma lascio il mio socio a rappresentare lo studio Wickfield e Heep. Signorina Agnese, sempre vostro. Vi auguro il buongiorno, signorino Copperfield, e vi lascio i miei ossequi per la signora Betsey Trotwood.

E se ne uscì dicendo questo, e baciandosi la mano, con un sorriso da maschera.

Noi rimanemmo a parlare un’ora o due dell’antico beato tempo di Canterbury. Il signor Wickfield, solo con Agnese, tosto riprese l’aria d’una volta, benché in lui vi fosse certo abbattimento dal quale non si riscoteva mai.

Nonostante questo, però, egli si fece radioso, e ascoltò piacevolmente commosso i piccoli episodi della nostra vita che, in gran parte, ricordava benissimo. Disse che gli sarebbe piaciuto riviverli di nuovo in compagnia mia 920

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e di Agnese; e avrebbe desiderato che quel tempo felice non fosse così rapidamente trascorso. Dal sereno viso di Agnese e dallo stesso contatto del braccio di lei sul suo, gli derivava un benessere meraviglioso.

Mia zia (che nel frattempo era stata affaccendata con Peggotty nella stanza attigua) non volle accompagnarci al loro alloggio, ma insisté perché ci andassi io; ed io ubbidii. Desinammo insieme. Dopo, Agnese si sedette accanto a suo padre, come una volta, e gli versò il vino.

Egli prese ciò che ella gli dava, non più – come un bambino – e tutti e tre ci sedemmo accanto alla finestra, mentre nella stanza entrava la sera. Quando annottò, egli si stese su un divano, e Agnese gli mise un guanciale sotto il capo, e stette un po’ china su di lui. Tornata alla finestra, potei scorgerle, all’ultimo chiarore del crepuscolo, gli occhi inumiditi di lagrime.

Domando al Cielo di non farmi dimenticar mai la cara fanciulla nel suo amore e nella sua fedeltà, in quel periodo della mia vita; perché se la dimenticassi, sarebbe il segno della mia fine, e allora desidererei di ricordarla meglio. Ella mi colmò il cuore di tanti buoni propositi, mi rafforzò tanto, scacciando da me ogni debolezza, e con l’esempio seppe dirigere così bene – non so come, perché era troppo modesta e gentile per consigliarmi con molte parole – l’ardore errante e le malferme risoluzioni che s’agitavano in me, che solennemente riconosco che debbo a lei tutto il bene che ho fatto e l’incolu-921

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mità da ogni male che son riuscito ad evitare.

E come mi parlò di Dora, sedendo accanto alla finestra al buio, ascoltando benevolmente le lodi che intessevo di lei, aggiungendo alle mie lodi, e vergando su quella personcina di fata qualche raggio della propria luce, che me la fece più preziosa e innocente! Oh, Agnese, sorella della mia infanzia, se avessi saputo allora, ciò che dovevo saper dopo!...

Are sens