David Copperfield
– Sto benissimo – dissi – e stasera niente baccanale, perché confesso d’aver avuto a pranzo tre amici.
– Quelli che ho incontrati per via, e che facevano a voce alta il tuo elogio – rispose Steerforth. – E chi era quello coi calzoni stretti?
Gli diedi la migliore idea che mi fosse possibile, in poche parole, del signor Micawber. Egli rise cordialmente del debole ritratto che ne feci, e disse che era un uomo da conoscere, e ch’egli si proponeva di farne la conoscenza.
– Ma chi credi che sia l’altro? – dissi, a mia volta.
– Dio sa – disse Steerforth. – Spero che non sia un sec-catore, perché me n’ha tutta l’aria.
– Traddles! – risposi con un accento di trionfo.
– Chi? – rispose Steerforth, con aria incurante.
– Non ricordi Traddles? Traddles che era con noi, a Salem House?
– Ah, lui! – disse Steerforth, battendo con l’attizzatoio un grosso pezzo di carbone sulla sommità del fuoco. – È
ingenuo ancora come una volta? E dove diavolo l’hai dissepolto?
Risposi facendo le più alte lodi di Traddles; perché sentivo che Steerforth non faceva di lui il conto che volevo ne facesse. Steerforth, passando a un nuovo argomento, con un gesto di noncuranza e un sorriso, e l’af-754
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fermazione che avrebbe rivisto con gioia il vecchio compagno che si era dimostrato sempre così bizzarro, mi chiese se potessi dargli qualche cosa da mangiare.
Durante la maggior parte di questo breve dialogo, nei momenti che non aveva parlato con la sua solita india-volata vivacità, s’era ostinato a battere il pezzo di carbone con l’attizzatoio. Osservai che faceva lo stesso mentre raccoglievo gli avanzi del pasticcio di piccione e di qualche altra cosa.
– Ebbene, Margheritina, ecco un pranzo da principe! –
esclamò, rompendo improvvisamente il silenzio, e sedendosi a tavola. – Gli farò giustizia, perché io arrivo da Yarmouth.
– Credevo che fosti arrivato da Oxford – risposi.
– No – disse Steerforth – sono stato occupato meglio.
Ho fatto il marinaio.
– Littimer è venuto qui oggi a domandar di te – osservai
– e m’era parso di capire che tu ti fossi trattenuto a Oxford; ma ora che ci ripenso, non me l’ha detto lui, certo.
– Littimer è più sciocco di quel che credevo, con l’andare in giro domandando di me – disse Steerforth, versan-dosi allegramente un bicchiere di vino, e bevendo alla mia salute. – Quanto a comprenderlo, se tu ci arrivi, Margheritina, sarai più abile di tutti noi.
– È vero, infatti – dissi, avvicinando la sedia alla tavola.
– Dunque sei stato a Yarmouth, Steerforth! – aggiunsi, 755
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curioso di saper tutto. – Ti ci sei trattenuto molto?
– No – mi rispose – una scappata di circa una settimana.
– E come stanno tutti laggiù? Naturalmente l’Emilietta non s’è ancora sposata.
– Non ancora. Ma sarà, credo, fra alcune settimane o mesi, non so. Non li ho visti molto. A proposito – depose il coltello e la forchetta, che aveva maneggiato con grande ardore, e cominciò a palparsi le tasche; – ho una lettera per te.
– Di chi?
– Della tua vecchia governante – rispose cavando alcune carte dalla tasca sul petto. – «G. Steerforth deve all’albergo dello Spirito Compiacente»; – non è questa. Pazienza, la troveremo subito. Il vecchio... non so come si chiama... sta male, e credo che ti scriva appunto di questo.
– Barkis, vuoi dire?
– Sì – e si palpava ancora le tasche, e poi non molto ne guardava il contenuto – temo che per Barkis la sia finita.
Ho visto un piccolo speziale lì... o un chirurgo, non so bene... quello che ebbe l’onore di guidare Vostra Signo-ria nel mondo. Egli m’ha dato i più dotti particolari sul male; ma la sua conclusione è questa: che il vetturale deve fra non molto fare il suo ultimo viaggio.
Metti la mano nella tasca interna del soprabito sulla se-756
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