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diosa sul mare, e proseguire, contemplandola, finché egli non fu che un’ombra in distanza.
La porta della casa-battello era aperta, quando arrivai; ed entrando, la trovai vuota di tutti i mobili, tranne di uno dei vecchi bauli, sul quale era seduta la signora Gummidge con un paniere sulle ginocchia, di fronte al pescatore Peggotty, che era poggiato col gomito alla mensola del caminetto, e sembrava contemplasse le ceneri del fuoco a metà spento. Ma egli si riscosse, al mio ingresso, e mi guardò speranzosamente, salutandomi allegramente.
– Venite, secondo la promessa, a dire addio alla casa, eh, signorino Davy? – disse, prendendo la candela. – Già nuda, ora, non è vero?
– Non avete perduto tempo – dissi.
– No, ci siamo dati da fare, signore. La signora Gummidge ha lavorato come... non so dirvi quanto abbia lavorato la signora Gummidge – disse il pescatore Peggotty, guardandola, impacciato a trovare una similitudine abbastanza lusinghiera.
La signora Gummidge, chinata sul paniere, non disse una parola.
– Quello è lo stesso baule sul quale voi era vate solito di sedervi insieme con l’Emilia – disse il pescatore Peggotty sottovoce. – Sarà l’ultimo oggetto che mi porterò via.
Ed ecco la vostra cameretta, vedete, signorino Davy?
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Già vuota.
Il vento, benché soffiasse moderatamente, aveva un suono solenne e strisciava su quella dimora semideserta con un gemito represso ch’era quasi lugubre. Tutto era sparito, perfino lo specchietto incorniciato di conchiglie.
Pensai al tempo in cui avevo dormito la prima volta sotto quel tetto, mentre avveniva a casa mia un così gran mutamento. Rividi la bambina dagli occhi azzurri che m’aveva incantato. Ripensai a Steerforth: e mi prese lo sciocco timore ch’egli fosse in quei pressi e si potesse incontrare ad ogni angolo.
– Forse passerà molto tempo – disse il pescatore Peggotty – prima che il battello trovi nuovi inquilini. Ora viene considerato come maledetto.
– È di qualcuno del paese? – dissi.
– Di un costruttore lì in paese. Gli debbo consegnare la chiave stasera.
Entrammo nell’altra cameretta, e poi tornammo dalla signora Gummidge, che sedeva sul baule. Il pescatore Peggotty, mettendo la candela sul caminetto, la pregò di alzarsi, per poter trasportar fuori il baule prima di spegnere la candela.
– Daniele – disse la signora Gummidge, abbandonando immediatamente il paniere, per afferrarsi al braccio dell’uomo – mio caro Daniele, le parole d’addio che io dico a questa casa sono che io non voglio esser lasciata 1315
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qui. Non pensare di lasciarmi qui, Daniele! Per carità, non lo fare!
Il pescatore Peggotty, preso all’improvviso, volse lo sguardo alla signora Gummidge e a me, e poi da me alla signora Gummidge, come se fosse stato svegliato da un sogno.
– Non lo fare, caro Daniele, non lo fare! – gridava commossa la signora Gummidge. – Conducimi insieme con te, Daniele, conducimi con te e con l’Emilia. Io sarò la tua serva costante e fedele. Se vi sono schiavi nelle parti dove vuoi andare, io sarò la tua schiava, e sarò contenta; ma non lasciarmi qui, Daniele caro caro!
– Anima mia! – disse il pescatore Peggotty, scotendo il capo. – Tu non sai come sarà lungo il viaggio, e che brutta vita sarà.
– Sì, Daniele, lo so, me lo immagino! – esclamò la signora Gummidge. – Ma le mie ultime parole in questa casa sono che io morirò, se non mi conduci con te. Io so adoperar la vanga, Daniele, so lavorare. So ciò che è la fatica. Sarò buona e paziente. Daniele, più che tu non immagini. Io non toccherei mai un soldo del tuo assegno, dovessi morir di fame, Daniele Peggotty; ma verrò con te e l’Emilia, se vuoi, fino in capo al mondo. Lo so cosa c’è; so che credi che io mi ritenga solitaria e abbandonata, tua, amore caro, non è più così. Non sono stata qui a vegliar sola, tanto tempo, e a pensare alle tue 1316
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pene, senza imparar qualche cosa. Signorino Davy, parlate voi per me. Io conosco le sue abitudini e quelle dell’Emilia, conosco i loro affanni, e potrei qualche volta consolarli, e lavorar per tutti. Daniele, caro Daniele, fammi venire con te.
E la signora Gummidge gli prese la mano, e gliela baciò con sincera affezione, con un impeto familiare di devozione e di gratitudine da lui veramente meritato.
Trasportammo fuori il baule, spegnemmo la candela, chiudemmo la porta, e lasciammo il vecchio battello, che parve un punto nero nella notte nuvolosa. Il giorno dopo, quando partimmo per Londra, sull’imperiale della diligenza eravamo insieme con la signora Gummidge la quale, col paniere sulle ginocchia, sedeva lieta e felice.
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LII.
ASSISTO AD UNO SCOPPIO
Mancavano soltanto ventiquattro ore al misterioso appuntamento datoci così misteriosamente dal signor Micawber, quando mia zia ed io ci consultammo sul da fare, perché mia zia era molto riluttante a lasciare Dora.
Ah, come facilmente portavo allora Dora su e giù per le scale!
Eravamo disposti, nonostante il desiderio del signor Micawber che mia zia fosse presente, di lasciarla a casa e di rappresentarla io e il signor Dick. In breve, avevamo stabilito di adottare questa decisione, quando Dora rove-sciò ogni nostro calcolo dichiarando che non si sarebbe mai perdonata e non avrebbe mai perdonato al suo cattivo marito, se mia zia, per qualsiasi motivo, fosse rimasta a casa.
– Io non vi dirò una parola – disse Dora, scotendo i riccioli – sarò noiosa; vi farò abbaiare contro da Jip tutto il giorno. E mi persuaderò veramente che siete una burbera vecchia, se non ci andate.
– Zitta, Fiorellino – disse mia zia, ridendo. – Tu sai che non puoi stare senza di me.
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