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Ella abbassò gli occhi e tremò.

– Difficilmente avrei ignorato, anche se non l’avessi saputo... non dalle vostre labbra, Agnese, il che è strano, ma da altre... che v’è qualcuno al quale avete largito il tesoro del vostro amore. Non mi escludete da ciò che riguarda così da vicino la vostra felicità. Se, come dite, avete fiducia in me, trattatemi da amico, da fratello, specialmente in questa circostanza.

Con uno sguardo supplichevole e quasi di rimprovero, si levò dalla finestra, traversò rapidamente la stanza come se non sapesse dove andare, si portò le mani al viso, e 1531

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scoppiò in un pianto che mi straziò il cuore.

E pure quel pianto svegliò in me qualche cosa che mi rianimò. Senza saper perché, quelle lagrime s’associava-no nel mio spirito al melanconico sorriso che m’era così fisso in mente, e mi facevan fremere più di speranza che di paura o tristezza.

– Agnese, sorella mia, diletta mia, che cosa ho fatto?

– Lasciatemi andare, Trotwood. Non mi sento bene.

Non son più io. Vi parlerò poi... vi parlerò un’altra volta. Vi scriverò. Non mi parlate, ora. No, non mi parlate!

Cercai di ricordare ciò che ella aveva detto, quando le avevo parlato quella sera, sul suo affetto che non aveva bisogno d’esser ricambiato.

Mi sembrava che dovessi esplorare il mondo un momento.

– Agnese, io non posso sopportare di vedervi in questo stato, e pensare d’esserne la causa. Agnese mia cara, più cara di qualunque cosa nella vita, se voi siete infelice, lasciatemi dividere la vostra infelicità. Se avete bisogno di aiuto o di consiglio, lasciatemi tentar di darvelo. Se avete un peso sul cuore, lasciatemi tentare di alleggerir-velo. Per chi debbo vivere, Agnese, ora, se non per voi?

– Oh, risparmiatemi! Io non sono io. Un’altra volta – era tutto ciò che potevo distinguere delle parole di Agnese.

Era un errore di egoismo che non mi allontanava da 1532

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lei? O, avendo un barlume di speranza, s’apriva innanzi a me una prospettiva alla quale non avevo osato pensare?

– Io debbo parlare ancora. Non è possibile che voi mi lasciate andar così. Per amor del Cielo, Agnese, non c’inganniamo a vicenda dopo tanti anni e dopo tutto ciò che si è svolto e s’è dileguato con essi. Debbo parlare sinceramente. Se voi temete che io possa esser geloso della felicità che potrete dare a un altro, che non possa vedervi affidata a un protettore più caro, scelto da voi; che non possa, nella mia solitudine, esser lieto testimone della vostra gioia; bandite questo timore, perché non merito un simile sospetto. Io non ho sofferto invano. Le vostre lezioni non sono andate perdute. Non v’è la minima ombra d’egoismo in ciò che sento per voi.

Ella s’era calmata. Dopo un istante, volse il pallido viso verso di me, e disse a voce bassa, soffocata di tanto in tanto dalla commozione, ma molto chiara:

– Io debbo, per la vostra pura amicizia per me, Trotwood... dirvi che v’ingannate. Non posso dir di più. Se talvolta ho avuto bisogno d’aiuto o di consiglio, non mi sono mancati. Se talvolta mi son sentita infelice, l’infelicità è passata. Se mai ho avuto un peso sul cuore, m’è stato alleggerito... Se ho un segreto, non è nuovo... e non è... quello che immaginate. Non posso rivelarlo, né dividerlo con nessuno. È da tanto tempo che lo porto sola, e sola debbo continuare a portarlo.

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– Agnese! Aspettate! Un momento!

Ella aveva fatto l’atto d’andarsene, ma io la trattenni. Le cinsi con un braccio la vita. «Se talvolta mi son sentita infelice». «Se ho un segreto, non è nuovo». Nuovi pensieri e nuove speranze mi turbinavano in mente; e il colore della mia vita mutava.

– Diletta Agnese! Io vi rispetto e vi onoro... io devotamente vi amo! Venendo qui oggi, credevo che nulla avrebbe potuto strapparmi questa confessione. Pensavo che me la sarei tenuta nascosta in petto per tutta la vita, fino alla vecchiaia! Ma, Agnese, in questo istante intra-vedo la speranza che possa chiamarvi più di sorella, che possa darvi un nome mille volte più caro di sorella...

Ella piangeva lagrime copiose; ma non somigliavano a quelle recentemente versate, e vi luceva la mia stessa speranza.

– Agnese! Tu che sei stata sempre la mia guida e il miglior mio sostegno! Se avessi pensato un po’ più a te e meno a me, quando crescevamo insieme in questa casa, credo che la mia fantasia vagabonda non si sarebbe mai allontanata da te. Ma tu eri così al di sopra di me, così necessaria alle mie speranze giovanili e ai miei giovanili disinganni, che confidarmi con te, appoggiarmi su te in ogni cosa, divenne per me una seconda natura, che sostituì intanto la prima e la maggiore: di amarti come ti amo!

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Ella piangeva ancora, ma non tristemente... gioiosamente! E stretta nelle mie braccia, come non era mai avvenuto, come non avevo mai creduto possibile!

– Quando amavo Dora... appassionatamente, Agnese, come tu sai...

– Sì! – ella esclamò, vivamente. – Son lieta di saperlo.

– Quando l’amavo... anche allora il mio amore sarebbe stato incompleto senza la tua simpatia. Aveva la tua simpatia, ed era perfetto. E quando persi Dora, Agnese, che cosa sarei stato senza di te?

Più stretta nelle mie braccia, più da presso al mio cuore, ella aveva la mano tremante sulle mie spalle, e cercava con gli occhi fulgidi fra le lagrime, i miei.

– Andai via, Agnese, e t’amavo. Assente, t’ho amata.

Son tornato, e ti amo.

E allora, tentai di narrarle la lotta da me sostenuta, e la conclusione alla quale ero arrivato. Tentai di spiegarle limpidamente l’anima mia, fedelmente e interamente.

Tentai di farle comprendere come avessi sperato di giungere all’esatta conoscenza di me stesso e di lei; come mi fossi rassegnato al risultato di quell’esatta conoscenza; e come fossi andato da lei, anche quella mattina, determinato a mantenermi fedele alla mia risoluzione. Se ella m’amava così da accettarmi per marito (io dissi), sapevo che non era per i meriti miei personali, ma 1535

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per la sincerità del mio amore per lei, per le sofferenze che ne avevo raccolte: era questo che m’aveva deciso a rivelarglielo. E in questo stesso momento, o Agnese, io vedo risplendere negli occhi tuoi sinceri l’anima di mia moglie-bimba, che mi dice: «È bene»... e ritrovo in te il più prezioso ricordo del Fiore appassito innanzi tempo!».

– Io son così felice, Trotwood! Il mio cuore trabocca di felicità... ma c’è una cosa che debbo dirti.

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