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tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo de la mia gloria e del mio paradiso.

Indi, a udire e a veder giocondo, giunse lo spirto al suo principio cose, ch'io non lo 'ntesi, sì parlò profondo; né per elezïon mi si nascose,

ma per necessità, ché 'l suo concetto al segno d'i mortal si soprapuose.

E quando l'arco de l'ardente affetto fu sì sfogato, che 'l parlar discese inver' lo segno del nostro intelletto, la prima cosa che per me s'intese,

«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno, che nel mio seme se' tanto cortese!».

E seguì: «Grato e lontano digiuno, tratto leggendo del magno volume

du' non si muta mai bianco né bruno, solvuto hai, figlio, dentro a questo lume in ch'io ti parlo, mercé di colei ch'a l'alto volo ti vestì le piume.

Tu credi che a me tuo pensier mei da quel ch'è primo, così come raia da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei; e però ch'io mi sia e perch' io paia più gaudïoso a te, non mi domandi, che alcun altro in questa turba gaia.

Tu credi 'l vero; ché i minori e ' grandi di questa vita miran ne lo speglio in che, prima che pensi, il pensier pandi; ma perché 'l sacro amore in che io veglio con perpetüa vista e che m'asseta di dolce disïar, s'adempia meglio, 385

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

la voce tua sicura, balda e lieta suoni la volontà, suoni 'l disio, a che la mia risposta è già decreta!».

Io mi volsi a Beatrice, e quella udio pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno che fece crescer l'ali al voler mio.

Poi cominciai così: «L'affetto e 'l senno, come la prima equalità v'apparse, d'un peso per ciascun di voi si fenno, però che 'l sol che v'allumò e arse, col caldo e con la luce è sì iguali, che tutte simiglianze sono scarse.

Ma voglia e argomento ne' mortali, per la cagion ch'a voi è manifesta, diversamente son pennuti in ali;

ond' io, che son mortal, mi sento in questa disagguaglianza, e però non ringrazio se non col core a la paterna festa.

Ben supplico io a te, vivo topazio che questa gioia prezïosa ingemmi, perché mi facci del tuo nome sazio».

«O fronda mia in che io compiacemmi pur aspettando, io fui la tua radice»: cotal principio, rispondendo, femmi.

Poscia mi disse: «Quel da cui si dice tua cognazione e che cent' anni e piùe girato ha 'l monte in la prima cornice, mio figlio fu e tuo bisavol fue:

ben si convien che la lunga fatica tu li raccorci con l'opere tue.

Fiorenza dentro da la cerchia antica, ond' ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica.

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Non avea catenella, non corona,

non gonne contigiate, non cintura che fosse a veder più che la persona.

Non faceva, nascendo, ancor paura la figlia al padre, ché 'l tempo e la dote non fuggien quinci e quindi la misura.

Non avea case di famiglia vòte;

non v'era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che 'n camera si puote.

Non era vinto ancora Montemalo

dal vostro Uccellatoio, che, com' è vinto nel montar sù, così sarà nel calo.

Bellincion Berti vid' io andar cinto di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio la donna sua sanza 'l viso dipinto; e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio esser contenti a la pelle scoperta, e le sue donne al fuso e al pennecchio.

Oh fortunate! ciascuna era certa

de la sua sepultura, e ancor nulla era per Francia nel letto diserta.

L'una vegghiava a studio de la culla, e, consolando, usava l'idïoma

che prima i padri e le madri trastulla; l'altra, traendo a la rocca la chioma, favoleggiava con la sua famiglia

d'i Troiani, di Fiesole e di Roma.

Saria tenuta allor tal maraviglia una Cianghella, un Lapo Salterello, qual or saria Cincinnato e Corniglia.

A così riposato, a così bello

viver di cittadini, a così fida

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

cittadinanza, a così dolce ostello, Maria mi diè, chiamata in alte grida; e ne l'antico vostro Batisteo

insieme fui cristiano e Cacciaguida.

Moronto fu mio frate ed Eliseo;

mia donna venne a me di val di Pado, e quindi il sopranome tuo si feo.

Poi seguitai lo 'mperador Currado; ed el mi cinse de la sua milizia, tanto per bene ovrar li venni in grado.

Dietro li andai incontro a la nequizia di quella legge il cui popolo usurpa, per colpa d'i pastor, vostra giustizia.

Quivi fu' io da quella gente turpa disviluppato dal mondo fallace,

lo cui amor molt' anime deturpa;

e venni dal martiro a questa pace».

CANTO XVI

Are sens