di quella Roma onde Cristo è romano.
Però, in pro del mondo che mal vive, al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, ritornato di là, fa che tu scrive».
Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi d'i suoi comandamenti era divoto, la mente e li occhi ov' ella volle diedi.
Non scese mai con sì veloce moto
foco di spessa nube, quando piove da quel confine che più va remoto, com' io vidi calar l'uccel di Giove per l'alber giù, rompendo de la scorza, non che d'i fiori e de le foglie nove; e ferì 'l carro di tutta sua forza; ond' el piegò come nave in fortuna, vinta da l'onda, or da poggia, or da orza.
Poscia vidi avventarsi ne la cuna del trïunfal veiculo una volpe
che d'ogne pasto buon parea digiuna; ma, riprendendo lei di laide colpe, la donna mia la volse in tanta futa 310
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quanto sofferser l'ossa sanza polpe.
Poscia per indi ond' era pria venuta, l'aguglia vidi scender giù ne l'arca del carro e lasciar lei di sé pennuta; e qual esce di cuor che si rammarca, tal voce uscì del cielo e cotal disse:
«O navicella mia, com' mal se' carca!».
Poi parve a me che la terra s'aprisse tr'ambo le ruote, e vidi uscirne un drago che per lo carro sù la coda fisse; e come vespa che ritragge l'ago,
a sé traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago.
Quel che rimase, come da gramigna vivace terra, da la piuma, offerta forse con intenzion sana e benigna, si ricoperse, e funne ricoperta
e l'una e l'altra rota e 'l temo, in tanto che più tiene un sospir la bocca aperta.
Trasformato così 'l dificio santo mise fuor teste per le parti sue, tre sovra 'l temo e una in ciascun canto.
Le prime eran cornute come bue,
ma le quattro un sol corno avean per fronte: simile mostro visto ancor non fue.
Sicura, quasi rocca in alto monte, seder sovresso una puttana sciolta m'apparve con le ciglia intorno pronte; e come perché non li fosse tolta, vidi di costa a lei dritto un gigante; e basciavansi insieme alcuna volta.
Ma perché l'occhio cupido e vagante 311
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a me rivolse, quel feroce drudo
la flagellò dal capo infin le piante; poi, di sospetto pieno e d'ira crudo, disciolse il mostro, e trassel per la selva, tanto che sol di lei mi fece scudo a la puttana e a la nova belva.
CANTO XXXIII
[Canto XXXIII, il quale si è l'ultimo de la seconda cantica, ove si racconta sì come Beatrice dichiaroe a Dante quelle cose ch'elli vide, trattando e dimostrando le future vendette e de la ingiuria nel predetto carro del grifone; e infine, veduti li quattro fiumi del Paradiso, escono verso il cielo.]
'Deus, venerunt gentes', alternando or tre or quattro dolce salmodia, le donne incominciaro, e lagrimando; e Bëatrice, sospirosa e pia,
quelle ascoltava sì fatta, che poco più a la croce si cambiò Maria.
Ma poi che l'altre vergini dier loco a lei di dir, levata dritta in pè, rispuose, colorata come foco:
'Modicum, et non videbitis me;
et iterum, sorelle mie dilette,
modicum, et vos videbitis me'.
Poi le si mise innanzi tutte e sette, e dopo sé, solo accennando, mosse me e la donna e 'l savio che ristette.
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Così sen giva; e non credo che fosse lo decimo suo passo in terra posto, quando con li occhi li occhi mi percosse; e con tranquillo aspetto «Vien più tosto», mi disse, «tanto che, s'io parlo teco, ad ascoltarmi tu sie ben disposto».
Sì com' io fui, com' io dovëa, seco, dissemi: «Frate, perché non t'attenti a domandarmi omai venendo meco?».
Come a color che troppo reverenti dinanzi a suo maggior parlando sono, che non traggon la voce viva ai denti, avvenne a me, che sanza intero suono incominciai: «Madonna, mia bisogna voi conoscete, e ciò ch'ad essa è buono».
Ed ella a me: «Da tema e da vergogna voglio che tu omai ti disviluppe, sì che non parli più com' om che sogna.
Sappi che 'l vaso che 'l serpente ruppe, fu e non è; ma chi n'ha colpa, creda che vendetta di Dio non teme suppe.