quel ch'i' or vidi — e ritegna l'image, mentre ch'io dico, come ferma rupe —, quindici stelle che 'n diverse plage lo ciel avvivan di tanto sereno
che soperchia de l'aere ogne compage; imagini quel carro a cu' il seno
basta del nostro cielo e notte e giorno, sì ch'al volger del temo non vien meno; imagini la bocca di quel corno
che si comincia in punta de lo stelo 374
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
a cui la prima rota va dintorno,
aver fatto di sé due segni in cielo, qual fece la figliuola di Minoi
allora che sentì di morte il gelo; e l'un ne l'altro aver li raggi suoi, e amendue girarsi per maniera
che l'uno andasse al primo e l'altro al poi; e avrà quasi l'ombra de la vera
costellazione e de la doppia danza che circulava il punto dov' io era: poi ch'è tanto di là da nostra usanza, quanto di là dal mover de la Chiana si move il ciel che tutti li altri avanza.
Lì si cantò non Bacco, non Peana, ma tre persone in divina natura,
e in una persona essa e l'umana.
Compié 'l cantare e 'l volger sua misura; e attesersi a noi quei santi lumi, felicitando sé di cura in cura.
Ruppe il silenzio ne' concordi numi poscia la luce in che mirabil vita del poverel di Dio narrata fumi,
e disse: «Quando l'una paglia è trita, quando la sua semenza è già riposta, a batter l'altra dolce amor m'invita.
Tu credi che nel petto onde la costa si trasse per formar la bella guancia il cui palato a tutto 'l mondo costa, e in quel che, forato da la lancia, e prima e poscia tanto sodisfece, che d'ogne colpa vince la bilancia, quantunque a la natura umana lece 375
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aver di lume, tutto fosse infuso
da quel valor che l'uno e l'altro fece; e però miri a ciò ch'io dissi suso, quando narrai che non ebbe 'l secondo lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo, e vedräi il tuo credere e 'l mio dire nel vero farsi come centro in tondo.
Ciò che non more e ciò che può morire non è se non splendor di quella idea che partorisce, amando, il nostro Sire; ché quella viva luce che sì mea
dal suo lucente, che non si disuna da lui né da l'amor ch'a lor s'intrea, per sua bontate il suo raggiare aduna, quasi specchiato, in nove sussistenze, etternalmente rimanendosi una.
Quindi discende a l'ultime potenze giù d'atto in atto, tanto divenendo, che più non fa che brevi contingenze; e queste contingenze essere intendo le cose generate, che produce
con seme e sanza seme il ciel movendo.
La cera di costoro e chi la duce
non sta d'un modo; e però sotto 'l segno idëale poi più e men traluce.
Ond' elli avvien ch'un medesimo legno, secondo specie, meglio e peggio frutta; e voi nascete con diverso ingegno.
Se fosse a punto la cera dedutta
e fosse il cielo in sua virtù supprema, la luce del suggel parrebbe tutta; 376
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ma la natura la dà sempre scema,
similemente operando a l'artista
ch'a l'abito de l'arte ha man che trema.
Però se 'l caldo amor la chiara vista de la prima virtù dispone e segna, tutta la perfezion quivi s'acquista.
Così fu fatta già la terra degna
di tutta l'animal perfezïone;
così fu fatta la Vergine pregna;
sì ch'io commendo tua oppinïone,
che l'umana natura mai non fue
né fia qual fu in quelle due persone.