Allor distese al legno ambo le mani; per che 'l maestro accorto lo sospinse, dicendo: «Via costà con li altri cani!».
Lo collo poi con le braccia mi cinse; basciommi 'l volto e disse: «Alma sdegnosa, benedetta colei che 'n te s'incinse!
Quei fu al mondo persona orgogliosa; bontà non è che sua memoria fregi: così s'è l'ombra sua qui furïosa.
Quanti si tegnon or là sù gran regi che qui staranno come porci in brago, di sé lasciando orribili dispregi!».
34
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
E io: «Maestro, molto sarei vago
di vederlo attuffare in questa broda prima che noi uscissimo del lago».
Ed elli a me: «Avante che la proda ti si lasci veder, tu sarai sazio: di tal disïo convien che tu goda».
Dopo ciò poco vid' io quello strazio far di costui a le fangose genti, che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»; e 'l fiorentino spirito bizzarro
in sé medesmo si volvea co' denti.
Quivi il lasciammo, che più non ne narro; ma ne l'orecchie mi percosse un duolo, per ch'io avante l'occhio intento sbarro.
Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo, s'appressa la città c'ha nome Dite, coi gravi cittadin, col grande stuolo».
E io: «Maestro, già le sue meschite là entro certe ne la valle cerno, vermiglie come se di foco uscite
fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno ch'entro l'affoca le dimostra rosse, come tu vedi in questo basso inferno».
Noi pur giugnemmo dentro a l'alte fosse che vallan quella terra sconsolata: le mura mi parean che ferro fosse.
Non sanza prima far grande aggirata, venimmo in parte dove il nocchier forte
«Usciteci», gridò: «qui è l'intrata».
Io vidi più di mille in su le porte da ciel piovuti, che stizzosamente dicean: «Chi è costui che sanza morte 35
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
va per lo regno de la morta gente?».
E 'l savio mio maestro fece segno di voler lor parlar segretamente.
Allor chiusero un poco il gran disdegno e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada che sì ardito intrò per questo regno.
Sol si ritorni per la folle strada: pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai, che li ha' iscorta sì buia contrada».
Pensa, lettor, se io mi sconfortai nel suon de le parole maladette,
ché non credetti ritornarci mai.
«O caro duca mio, che più di sette volte m'hai sicurtà renduta e tratto d'alto periglio che 'ncontra mi stette, non mi lasciar», diss' io, «così disfatto; e se 'l passar più oltre ci è negato, ritroviam l'orme nostre insieme ratto».
E quel segnor che lì m'avea menato, mi disse: «Non temer; ché 'l nostro passo non ci può tòrre alcun: da tal n'è dato.
Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso conforta e ciba di speranza buona, ch'i' non ti lascerò nel mondo basso».
Così sen va, e quivi m'abbandona
lo dolce padre, e io rimagno in forse, che sì e no nel capo mi tenciona.
Udir non potti quello ch'a lor porse; ma ei non stette là con essi guari, che ciascun dentro a pruova si ricorse.
Chiuser le porte que' nostri avversari nel petto al mio segnor, che fuor rimase 36
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
e rivolsesi a me con passi rari.
Li occhi a la terra e le ciglia avea rase d'ogne baldanza, e dicea ne' sospiri:
«Chi m'ha negate le dolenti case!».
E a me disse: «Tu, perch' io m'adiri, non sbigottir, ch'io vincerò la prova, qual ch'a la difension dentro s'aggiri.
Questa lor tracotanza non è nova; ché già l'usaro a men segreta porta, la qual sanza serrame ancor si trova.