Dal volto rimovea quell' aere grasso, menando la sinistra innanzi spesso; e sol di quell' angoscia parea lasso.
Ben m'accorsi ch'elli era da ciel messo, e volsimi al maestro; e quei fé segno ch'i' stessi queto ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Venne a la porta e con una verghetta l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno.
«O cacciati del ciel, gente dispetta», cominciò elli in su l'orribil soglia,
«ond' esta oltracotanza in voi s'alletta?
Perché recalcitrate a quella voglia a cui non puote il fin mai esser mozzo, e che più volte v'ha cresciuta doglia?
Che giova ne le fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda, ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo».
Poi si rivolse per la strada lorda, e non fé motto a noi, ma fé sembiante d'omo cui altra cura stringa e morda che quella di colui che li è davante; e noi movemmo i piedi inver' la terra, 40
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
sicuri appresso le parole sante.
Dentro li 'ntrammo sanz' alcuna guerra; e io, ch'avea di riguardar disio
la condizion che tal fortezza serra, com' io fui dentro, l'occhio intorno invio: e veggio ad ogne man grande campagna, piena di duolo e di tormento rio.
Sì come ad Arli, ove Rodano stagna, sì com' a Pola, presso del Carnaro ch'Italia chiude e suoi termini bagna, fanno i sepulcri tutt' il loco varo, così facevan quivi d'ogne parte,
salvo che 'l modo v'era più amaro; ché tra li avelli fiamme erano sparte, per le quali eran sì del tutto accesi, che ferro più non chiede verun' arte.
Tutti li lor coperchi eran sospesi, e fuor n'uscivan sì duri lamenti, che ben parean di miseri e d'offesi.
E io: «Maestro, quai son quelle genti che, seppellite dentro da quell' arche, si fan sentir coi sospiri dolenti?».
E quelli a me: «Qui son li eresïarche con lor seguaci, d'ogne setta, e molto più che non credi son le tombe carche.
Simile qui con simile è sepolto,
e i monimenti son più e men caldi».
E poi ch'a la man destra si fu vòlto, passammo tra i martìri e li alti spaldi.
CANTO X
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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
[Canto decimo, ove tratta del sesto cerchio de l'inferno e de la pena de li eretici, e in forma d'indovinare in persona di messer Farinata predice molte cose e di quelle che avvennero a Dante, e solve una questione.]
Ora sen va per un secreto calle,
tra 'l muro de la terra e li martìri, lo mio maestro, e io dopo le spalle.
«O virtù somma, che per li empi giri mi volvi», cominciai, «com' a te piace, parlami, e sodisfammi a' miei disiri.
La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? già son levati
tutt' i coperchi, e nessun guardia face».
E quelli a me: «Tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati.
Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l'anima col corpo morta fanno.
Però a la dimanda che mi faci
quinc' entro satisfatto sarà tosto, e al disio ancor che tu mi taci».
E io: «Buon duca, non tegno riposto a te mio cuor se non per dicer poco, e tu m'hai non pur mo a ciò disposto».
«O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto