del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella.
La frode, ond' ogne coscïenza è morsa, può l'omo usare in colui che 'n lui fida e in quel che fidanza non imborsa.
Questo modo di retro par ch'incida pur lo vinco d'amor che fa natura; onde nel cerchio secondo s'annida ipocresia, lusinghe e chi affattura, falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura.
Per l'altro modo quell' amor s'oblia che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto, di che la fede spezïal si cria;
onde nel cerchio minore, ov' è 'l punto de l'universo in su che Dite siede, qualunque trade in etterno è consunto».
E io: «Maestro, assai chiara procede la tua ragione, e assai ben distingue questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede.
Ma dimmi: quei de la palude pingue, che mena il vento, e che batte la pioggia, e che s'incontran con sì aspre lingue, perché non dentro da la città roggia 48
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sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?».
Ed elli a me «Perché tanto delira», disse, «lo 'ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira?
Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta le tre disposizion che 'l ciel non vole, incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza men Dio offende e men biasimo accatta?
Se tu riguardi ben questa sentenza, e rechiti a la mente chi son quelli che sù di fuor sostegnon penitenza, tu vedrai ben perché da questi felli sien dipartiti, e perché men crucciata la divina vendetta li martelli».
«O sol che sani ogne vista turbata, tu mi contenti sì quando tu solvi, che, non men che saver, dubbiar m'aggrata.
Ancora in dietro un poco ti rivolvi», diss' io, «là dove di' ch'usura offende la divina bontade, e 'l groppo solvi».
«Filosofia», mi disse, «a chi la 'ntende, nota, non pure in una sola parte, come natura lo suo corso prende
dal divino 'ntelletto e da sua arte; e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte, che l'arte vostra quella, quanto pote, segue, come 'l maestro fa 'l discente; sì che vostr' arte a Dio quasi è nepote.
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Da queste due, se tu ti rechi a mente lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente; e perché l'usuriere altra via tene, per sé natura e per la sua seguace dispregia, poi ch'in altro pon la spene.
Ma seguimi oramai che 'l gir mi piace; ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta, e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace, e 'l balzo via là oltra si dismonta».
CANTO XII
[Canto XII, ove tratta del discendimento nel settimo cerchio d'inferno, e de le pene di quelli che fecero forza in persona de'
tiranni, e qui tratta di Minotauro e del fiume del sangue, e come per uno centauro furono scorti e guidati sicuri oltre il fiume.]
Era lo loco ov' a scender la riva venimmo, alpestro e, per quel che v'er' anco, tal, ch'ogne vista ne sarebbe schiva.
Qual è quella ruina che nel fianco di qua da Trento l'Adice percosse, o per tremoto o per sostegno manco, che da cima del monte, onde si mosse, al piano è sì la roccia discoscesa, ch'alcuna via darebbe a chi sù fosse: cotal di quel burrato era la scesa; e 'n su la punta de la rotta lacca l'infamïa di Creti era distesa
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che fu concetta ne la falsa vacca; e quando vide noi, sé stesso morse, sì come quei cui l'ira dentro fiacca.
Lo savio mio inver' lui gridò: «Forse tu credi che qui sia 'l duca d'Atene, che sù nel mondo la morte ti porse?
Pàrtiti, bestia, ché questi non vene ammaestrato da la tua sorella,
ma vassi per veder le vostre pene».
Qual è quel toro che si slaccia in quella c'ha ricevuto già 'l colpo mortale, che gir non sa, ma qua e là saltella, vid' io lo Minotauro far cotale;