e quello accorto gridò: «Corri al varco; mentre ch'e' 'nfuria, è buon che tu ti cale».
Così prendemmo via giù per lo scarco di quelle pietre, che spesso moviensi sotto i miei piedi per lo novo carco.
Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi forse a questa ruina, ch'è guardata da quell' ira bestial ch'i' ora spensi.
Or vo' che sappi che l'altra fïata ch'i' discesi qua giù nel basso inferno, questa roccia non era ancor cascata.
Ma certo poco pria, se ben discerno, che venisse colui che la gran preda levò a Dite del cerchio superno,
da tutte parti l'alta valle feda
tremò sì, ch'i' pensai che l'universo sentisse amor, per lo qual è chi creda più volte il mondo in caòsso converso; e in quel punto questa vecchia roccia, qui e altrove, tal fece riverso.
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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
Ma ficca li occhi a valle, ché s'approccia la riviera del sangue in la qual bolle qual che per vïolenza in altrui noccia».
Oh cieca cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta, e ne l'etterna poi sì mal c'immolle!
Io vidi un'ampia fossa in arco torta, come quella che tutto 'l piano abbraccia, secondo ch'avea detto la mia scorta; e tra 'l piè de la ripa ed essa, in traccia corrien centauri, armati di saette, come solien nel mondo andare a caccia.
Veggendoci calar, ciascun ristette, e de la schiera tre si dipartiro
con archi e asticciuole prima elette; e l'un gridò da lungi: «A qual martiro venite voi che scendete la costa?
Ditel costinci; se non, l'arco tiro».
Lo mio maestro disse: «La risposta farem noi a Chirón costà di presso: mal fu la voglia tua sempre sì tosta».
Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso, che morì per la bella Deianira,
e fé di sé la vendetta elli stesso.
E quel di mezzo, ch'al petto si mira, è il gran Chirón, il qual nodrì Achille; quell' altro è Folo, che fu sì pien d'ira.
Dintorno al fosso vanno a mille a mille, saettando qual anima si svelle
del sangue più che sua colpa sortille».
Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle: Chirón prese uno strale, e con la cocca 52
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fece la barba in dietro a le mascelle.
Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, disse a' compagni: «Siete voi accorti che quel di retro move ciò ch'el tocca?
Così non soglion far li piè d'i morti».
E 'l mio buon duca, che già li er' al petto, dove le due nature son consorti,
rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto mostrar li mi convien la valle buia; necessità 'l ci 'nduce, e non diletto.
Tal si partì da cantare alleluia
che mi commise quest' officio novo: non è ladron, né io anima fuia.
Ma per quella virtù per cu' io movo li passi miei per sì selvaggia strada, danne un de' tuoi, a cui noi siamo a provo, e che ne mostri là dove si guada, e che porti costui in su la groppa, ché non è spirto che per l'aere vada».
Chirón si volse in su la destra poppa, e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida, e fa cansar s'altra schiera v'intoppa».
Or ci movemmo con la scorta fida
lungo la proda del bollor vermiglio, dove i bolliti facieno alte strida.
Io vidi gente sotto infino al ciglio; e 'l gran centauro disse: «E' son tiranni che dier nel sangue e ne l'aver di piglio.
Quivi si piangon li spietati danni; quivi è Alessandro, e Dïonisio fero che fé Cicilia aver dolorosi anni.
E quella fronte c'ha 'l pel così nero, 53
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è Azzolino; e quell' altro ch'è biondo, è Opizzo da Esti, il qual per vero fu spento dal figliastro sù nel mondo».