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Allor mi volsi al poeta, e quei disse:

«Questi ti sia or primo, e io secondo».

Poco più oltre il centauro s'affisse sovr' una gente che 'nfino a la gola parea che di quel bulicame uscisse.

Mostrocci un'ombra da l'un canto sola, dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio lo cor che 'n su Tamisi ancor si cola».

Poi vidi gente che di fuor del rio tenean la testa e ancor tutto 'l casso; e di costoro assai riconobb' io.

Così a più a più si facea basso

quel sangue, sì che cocea pur li piedi; e quindi fu del fosso il nostro passo.

«Sì come tu da questa parte vedi

lo bulicame che sempre si scema», disse 'l centauro, «voglio che tu credi che da quest' altra a più a più giù prema lo fondo suo, infin ch'el si raggiunge ove la tirannia convien che gema.

La divina giustizia di qua punge

quell' Attila che fu flagello in terra, e Pirro e Sesto; e in etterno munge le lagrime, che col bollor diserra, a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo, che fecero a le strade tanta guerra».

Poi si rivolse e ripassossi 'l guazzo.

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

CANTO XIII

[Canto XIII, ove tratta de l'esenzia del secondo girone ch'è nel settimo circulo, dove punisce coloro ch'ebbero contra sé medesimi violenta mano, ovvero non uccidendo sé ma guastando i loro beni.]

Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato.

Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco.

Non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che 'n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.

Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani con tristo annunzio di futuro danno.

Ali hanno late, e colli e visi umani, piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre; fanno lamenti in su li alberi strani.

E 'l buon maestro «Prima che più entre, sappi che se' nel secondo girone», mi cominciò a dire, «e sarai mentre che tu verrai ne l'orribil sabbione.

Però riguarda ben; sì vederai

cose che torrien fede al mio sermone».

Io sentia d'ogne parte trarre guai e non vedea persona che 'l facesse; per ch'io tutto smarrito m'arrestai.

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Cred' ïo ch'ei credette ch'io credesse che tante voci uscisser, tra quei bronchi, da gente che per noi si nascondesse.

Però disse 'l maestro: «Se tu tronchi qualche fraschetta d'una d'este piante, li pensier c'hai si faran tutti monchi».

Allor porsi la mano un poco avante e colsi un ramicel da un gran pruno; e 'l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».

Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?

non hai tu spirto di pietade alcuno?

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb' esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi».

Come d'un stizzo verde ch'arso sia da l'un de' capi, che da l'altro geme e cigola per vento che va via,

sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond' io lasciai la cima cadere, e stetti come l'uom che teme.

«S'elli avesse potuto creder prima», rispuose 'l savio mio, «anima lesa, ciò c'ha veduto pur con la mia rima, non averebbe in te la man distesa; ma la cosa incredibile mi fece

indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa.

Ma dilli chi tu fosti, sì che 'n vece d'alcun' ammenda tua fama rinfreschi nel mondo sù, dove tornar li lece».

E 'l tronco: «Sì col dolce dir m'adeschi, ch'i' non posso tacere; e voi non gravi perch' ïo un poco a ragionar m'inveschi.

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando, sì soavi,

che dal secreto suo quasi ogn' uom tolsi; fede portai al glorïoso offizio,

tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi.

La meretrice che mai da l'ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune e de le corti vizio, infiammò contra me li animi tutti; e li 'nfiammati infiammar sì Augusto, che ' lieti onor tornaro in tristi lutti.

L'animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto.

Per le nove radici d'esto legno

vi giuro che già mai non ruppi fede al mio segnor, che fu d'onor sì degno.

E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che 'nvidia le diede».

Un poco attese, e poi «Da ch'el si tace», disse 'l poeta a me, «non perder l'ora; ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».

Are sens