Lì si vedrà la superbia ch'asseta, che fa lo Scotto e l'Inghilese folle, sì che non può soffrir dentro a sua meta.
Vedrassi la lussuria e 'l viver molle di quel di Spagna e di quel di Boemme, che mai valor non conobbe né volle.
406
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme segnata con un i la sua bontate,
quando 'l contrario segnerà un emme.
Vedrassi l'avarizia e la viltate
di quei che guarda l'isola del foco, ove Anchise finì la lunga etate;
e a dare ad intender quanto è poco, la sua scrittura fian lettere mozze, che noteranno molto in parvo loco.
E parranno a ciascun l'opere sozze del barba e del fratel, che tanto egregia nazione e due corone han fatte bozze.
E quel di Portogallo e di Norvegia lì si conosceranno, e quel di Rascia che male ha visto il conio di Vinegia.
Oh beata Ungheria, se non si lascia più malmenare! e beata Navarra,
se s'armasse del monte che la fascia!
E creder de' ciascun che già, per arra di questo, Niccosïa e Famagosta
per la lor bestia si lamenti e garra, che dal fianco de l'altre non si scosta».
CANTO XX
[Canto XX, nel quale ancora suonano nel becco de l'Aquila certe parole per le quali apprende di conoscere alcuni di quelli spirti de li quali quella Aquila è composta.]
407
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
Quando colui che tutto 'l mondo alluma de l'emisperio nostro sì discende, che 'l giorno d'ogne parte si consuma, lo ciel, che sol di lui prima s'accende, subitamente si rifà parvente
per molte luci, in che una risplende; e questo atto del ciel mi venne a mente, come 'l segno del mondo e de' suoi duci nel benedetto rostro fu tacente;
però che tutte quelle vive luci,
vie più lucendo, cominciaron canti da mia memoria labili e caduci.
O dolce amor che di riso t'ammanti, quanto parevi ardente in que' flailli, ch'avieno spirto sol di pensier santi!
Poscia che i cari e lucidi lapilli ond' io vidi ingemmato il sesto lume puoser silenzio a li angelici squilli, udir mi parve un mormorar di fiume che scende chiaro giù di pietra in pietra, mostrando l'ubertà del suo cacume.
E come suono al collo de la cetra prende sua forma, e sì com' al pertugio de la sampogna vento che penètra, così, rimosso d'aspettare indugio, quel mormorar de l'aguglia salissi su per lo collo, come fosse bugio.
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi per lo suo becco in forma di parole, quali aspettava il core ov' io le scrissi.
«La parte in me che vede e pate il sole ne l'aguglie mortali», incominciommi,
«or fisamente riguardar si vole,
408
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
perché d'i fuochi ond' io figura fommi, quelli onde l'occhio in testa mi scintilla, e' di tutti lor gradi son li sommi.
Colui che luce in mezzo per pupilla, fu il cantor de lo Spirito Santo, che l'arca traslatò di villa in villa: ora conosce il merto del suo canto, in quanto effetto fu del suo consiglio, per lo remunerar ch'è altrettanto.
Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, colui che più al becco mi s'accosta, la vedovella consolò del figlio:
ora conosce quanto caro costa
non seguir Cristo, per l'esperïenza di questa dolce vita e de l'opposta.
E quel che segue in la circunferenza di che ragiono, per l'arco superno, morte indugiò per vera penitenza: ora conosce che 'l giudicio etterno non si trasmuta, quando degno preco fa crastino là giù de l'odïerno.
L'altro che segue, con le leggi e meco, sotto buona intenzion che fé mal frutto, per cedere al pastor si fece greco: ora conosce come il mal dedutto
dal suo bene operar non li è nocivo, avvegna che sia 'l mondo indi distrutto.
E quel che vedi ne l'arco declivo, Guiglielmo fu, cui quella terra plora che piagne Carlo e Federigo vivo: ora conosce come s'innamora