in campo, a seminar la buona pianta che fu già vite e ora è fatta pruno».
Finito questo, l'alta corte santa risonò per le spere un 'Dio laudamo'
ne la melode che là sù si canta.
E quel baron che sì di ramo in ramo, essaminando, già tratto m'avea,
che a l'ultime fronde appressavamo, ricominciò: «La Grazia, che donnea 430
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con la tua mente, la bocca t'aperse infino a qui come aprir si dovea, sì ch'io approvo ciò che fuori emerse; ma or convien espremer quel che credi, e onde a la credenza tua s'offerse».
«O santo padre, e spirito che vedi ciò che credesti sì, che tu vincesti ver' lo sepulcro più giovani piedi», comincia' io, «tu vuo' ch'io manifesti la forma qui del pronto creder mio, e anche la cagion di lui chiedesti.
E io rispondo: Io credo in uno Dio solo ed etterno, che tutto 'l ciel move, non moto, con amore e con disio;
e a tal creder non ho io pur prove fisice e metafisice, ma dalmi
anche la verità che quinci piove
per Moïsè, per profeti e per salmi, per l'Evangelio e per voi che scriveste poi che l'ardente Spirto vi fé almi; e credo in tre persone etterne, e queste credo una essenza sì una e sì trina, che soffera congiunto 'sono' ed 'este'.
De la profonda condizion divina
ch'io tocco mo, la mente mi sigilla più volte l'evangelica dottrina.
Quest' è 'l principio, quest' è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla».
Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch'el si tace; 431
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così, benedicendomi cantando,
tre volte cinse me, sì com' io tacqui, l'appostolico lume al cui comando io avea detto: sì nel dir li piacqui!
CANTO XXV
[Canto XXV, che tratta come l'auttore parla con Beatrice e con santo Iacopo Maggiore sopra certe questioni de le quali santo Iacopo solve la prima.]
Se mai continga che 'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m'ha fatto per molti anni macro, vinca la crudeltà che fuor mi serra del bello ovile ov' io dormi' agnello, nimico ai lupi che li danno guerra; con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò 'l cappello; però che ne la fede, che fa conte l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi Pietro per lei sì mi girò la fronte.
Indi si mosse un lume verso noi
di quella spera ond' uscì la primizia che lasciò Cristo d'i vicari suoi; e la mia donna, piena di letizia, mi disse: «Mira, mira: ecco il barone per cui là giù si vicita Galizia».
Sì come quando il colombo si pone 432
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presso al compagno, l'uno a l'altro pande, girando e mormorando, l'affezione; così vid' ïo l'un da l'altro grande principe glorïoso essere accolto, laudando il cibo che là sù li prande.
Ma poi che 'l gratular si fu assolto, tacito coram me ciascun s'affisse, ignito sì che vincëa 'l mio volto.
Ridendo allora Bëatrice disse:
«Inclita vita per cui la larghezza de la nostra basilica si scrisse, fa risonar la spene in questa altezza: tu sai, che tante fiate la figuri, quante Iesù ai tre fé più carezza».
«Leva la testa e fa che t'assicuri: ché ciò che vien qua sù del mortal mondo, convien ch'ai nostri raggi si maturi».
Questo conforto del foco secondo
mi venne; ond' io leväi li occhi a' monti che li 'ncurvaron pria col troppo pondo.
«Poi che per grazia vuol che tu t'affronti lo nostro Imperadore, anzi la morte, ne l'aula più secreta co' suoi conti, sì che, veduto il ver di questa corte, la spene, che là giù bene innamora, in te e in altrui di ciò conforte, dì quel ch'ell' è, dì come se ne 'nfiora la mente tua, e dì onde a te venne».
Così seguì 'l secondo lume ancora.
E quella pïa che guidò le penne
de le mie ali a così alto volo,
a la risposta così mi prevenne:
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