Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
«La Chiesa militante alcun figliuolo non ha con più speranza, com' è scritto nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: però li è conceduto che d'Egitto
vegna in Ierusalemme per vedere,
anzi che 'l militar li sia prescritto.
Li altri due punti, che non per sapere son dimandati, ma perch' ei rapporti quanto questa virtù t'è in piacere, a lui lasc' io, ché non li saran forti né di iattanza; ed elli a ciò risponda, e la grazia di Dio ciò li comporti».
Come discente ch'a dottor seconda pronto e libente in quel ch'elli è esperto, perché la sua bontà si disasconda,
«Spene», diss' io, «è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto.
Da molte stelle mi vien questa luce; ma quei la distillò nel mio cor pria che fu sommo cantor del sommo duce.
'Sperino in te', ne la sua tëodia dice, 'color che sanno il nome tuo': e chi nol sa, s'elli ha la fede mia?
Tu mi stillasti, con lo stillar suo, ne la pistola poi; sì ch'io son pieno, e in altrui vostra pioggia repluo».
Mentr' io diceva, dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo sùbito e spesso a guisa di baleno.
Indi spirò: «L'amore ond' ïo avvampo ancor ver' la virtù che mi seguette infin la palma e a l'uscir del campo, 434
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vuol ch'io respiri a te che ti dilette di lei; ed emmi a grato che tu diche quello che la speranza ti 'mpromette».
E io: «Le nove e le scritture antiche pongon lo segno, ed esso lo mi addita, de l'anime che Dio s'ha fatte amiche.
Dice Isaia che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta: e la sua terra è questa dolce vita; e 'l tuo fratello assai vie più digesta, là dove tratta de le bianche stole, questa revelazion ci manifesta».
E prima, appresso al fin d'este parole,
'Sperent in te' di sopr' a noi s'udì; a che rispuoser tutte le carole.
Poscia tra esse un lume si schiarì sì che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo, l'inverno avrebbe un mese d'un sol dì.
E come surge e va ed entra in ballo vergine lieta, sol per fare onore a la novizia, non per alcun fallo, così vid' io lo schiarato splendore venire a' due che si volgieno a nota qual conveniesi al loro ardente amore.
Misesi lì nel canto e ne la rota; e la mia donna in lor tenea l'aspetto, pur come sposa tacita e immota.
«Questi è colui che giacque sopra 'l petto del nostro pellicano, e questi fue di su la croce al grande officio eletto».
La donna mia così; né però piùe
mosser la vista sua di stare attenta 435
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poscia che prima le parole sue.
Qual è colui ch'adocchia e s'argomenta di vedere eclissar lo sole un poco, che, per veder, non vedente diventa; tal mi fec' ïo a quell' ultimo foco mentre che detto fu: «Perché t'abbagli per veder cosa che qui non ha loco?
In terra è terra il mio corpo, e saragli tanto con li altri, che 'l numero nostro con l'etterno proposito s'agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro».
A questa voce l'infiammato giro
si quïetò con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro, sì come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria ne l'acqua ripercossi, tutti si posano al sonar d'un fischio.
Ahi quanto ne la mente mi commossi, quando mi volsi per veder Beatrice, per non poter veder, benché io fossi presso di lei, e nel mondo felice!
CANTO XXVI
[Canto XXVI, nel quale l'auttore ne conforta seguitare lo innefabile amore, e dove trova Adamo il nostro primo padre, dicente a lui il tempo de la sua felicitade e infelicitade.]
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Mentr' io dubbiava per lo viso spento, de la fulgida fiamma che lo spense uscì un spiro che mi fece attento, dicendo: «Intanto che tu ti risense de la vista che haï in me consunta, ben è che ragionando la compense.
Comincia dunque; e dì ove s'appunta l'anima tua, e fa ragion che sia