e però, prima che tu più t'inlei, rimira in giù, e vedi quanto mondo sotto li piedi già esser ti fei;
sì che 'l tuo cor, quantunque può, giocondo s'appresenti a la turba trïunfante che lieta vien per questo etera tondo».
Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante; e quel consiglio per migliore approbo che l'ha per meno; e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell' ombra che mi fu cagione per che già la credetti rara e densa.
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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
L'aspetto del tuo nato, Iperïone, quivi sostenni, e vidi com' si move circa e vicino a lui Maia e Dïone.
Quindi m'apparve il temperar di Giove tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro il varïar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci e come sono in distante riparo.
L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom' io con li etterni Gemelli, tutta m'apparve da' colli a le foci; poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
CANTO XXIII
[Canto XXIII, dove si tratta come l'auttore vide la Beata Virgine Maria e li abitatori de la celestiale corte, de la quale mirabilemente favella in questo canto; e qui si prende la nona parte di questa terza cantica.]
Come l'augello, intra l'amate fronde, posato al nido de' suoi dolci nati la notte che le cose ci nasconde, che, per veder li aspetti disïati e per trovar lo cibo onde li pasca, in che gravi labor li sono aggrati, previene il tempo in su aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l'alba nasca; 422
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
così la donna mïa stava eretta
e attenta, rivolta inver' la plaga sotto la quale il sol mostra men fretta: sì che, veggendola io sospesa e vaga, fecimi qual è quei che disïando
altro vorria, e sperando s'appaga.
Ma poco fu tra uno e altro quando, del mio attender, dico, e del vedere lo ciel venir più e più rischiarando; e Bëatrice disse: «Ecco le schiere del trïunfo di Cristo e tutto 'l frutto ricolto del girar di queste spere!».
Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto, e li occhi avea di letizia sì pieni, che passarmen convien sanza costrutto.
Quale ne' plenilunïi sereni
Trivïa ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni, vid' i' sopra migliaia di lucerne un sol che tutte quante l'accendea, come fa 'l nostro le viste superne; e per la viva luce trasparea
la lucente sustanza tanto chiara
nel viso mio, che non la sostenea.
Oh Bëatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse: «Quel che ti sobranza è virtù da cui nulla si ripara.
Quivi è la sapïenza e la possanza ch'aprì le strade tra 'l cielo e la terra, onde fu già sì lunga disïanza».
Come foco di nube si diserra
per dilatarsi sì che non vi cape, 423
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e fuor di sua natura in giù s'atterra, la mente mia così, tra quelle dape fatta più grande, di sé stessa uscìo, e che si fesse rimembrar non sape.
«Apri li occhi e riguarda qual son io; tu hai vedute cose, che possente
se' fatto a sostener lo riso mio».
Io era come quei che si risente
di visïone oblita e che s'ingegna indarno di ridurlasi a la mente,
quand' io udi' questa proferta, degna di tanto grato, che mai non si stingue del libro che 'l preterito rassegna.
Se mo sonasser tutte quelle lingue che Polimnïa con le suore fero