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e però, prima che tu più t'inlei, rimira in giù, e vedi quanto mondo sotto li piedi già esser ti fei;

sì che 'l tuo cor, quantunque può, giocondo s'appresenti a la turba trïunfante che lieta vien per questo etera tondo».

Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante; e quel consiglio per migliore approbo che l'ha per meno; e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo.

Vidi la figlia di Latona incensa

sanza quell' ombra che mi fu cagione per che già la credetti rara e densa.

421

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

L'aspetto del tuo nato, Iperïone, quivi sostenni, e vidi com' si move circa e vicino a lui Maia e Dïone.

Quindi m'apparve il temperar di Giove tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro il varïar che fanno di lor dove;

e tutti e sette mi si dimostraro

quanto son grandi e quanto son veloci e come sono in distante riparo.

L'aiuola che ci fa tanto feroci,

volgendom' io con li etterni Gemelli, tutta m'apparve da' colli a le foci; poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.

CANTO XXIII

[Canto XXIII, dove si tratta come l'auttore vide la Beata Virgine Maria e li abitatori de la celestiale corte, de la quale mirabilemente favella in questo canto; e qui si prende la nona parte di questa terza cantica.]

Come l'augello, intra l'amate fronde, posato al nido de' suoi dolci nati la notte che le cose ci nasconde, che, per veder li aspetti disïati e per trovar lo cibo onde li pasca, in che gravi labor li sono aggrati, previene il tempo in su aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l'alba nasca; 422

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

così la donna mïa stava eretta

e attenta, rivolta inver' la plaga sotto la quale il sol mostra men fretta: sì che, veggendola io sospesa e vaga, fecimi qual è quei che disïando

altro vorria, e sperando s'appaga.

Ma poco fu tra uno e altro quando, del mio attender, dico, e del vedere lo ciel venir più e più rischiarando; e Bëatrice disse: «Ecco le schiere del trïunfo di Cristo e tutto 'l frutto ricolto del girar di queste spere!».

Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto, e li occhi avea di letizia sì pieni, che passarmen convien sanza costrutto.

Quale ne' plenilunïi sereni

Trivïa ride tra le ninfe etterne

che dipingon lo ciel per tutti i seni, vid' i' sopra migliaia di lucerne un sol che tutte quante l'accendea, come fa 'l nostro le viste superne; e per la viva luce trasparea

la lucente sustanza tanto chiara

nel viso mio, che non la sostenea.

Oh Bëatrice, dolce guida e cara!

Ella mi disse: «Quel che ti sobranza è virtù da cui nulla si ripara.

Quivi è la sapïenza e la possanza ch'aprì le strade tra 'l cielo e la terra, onde fu già sì lunga disïanza».

Come foco di nube si diserra

per dilatarsi sì che non vi cape, 423

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

e fuor di sua natura in giù s'atterra, la mente mia così, tra quelle dape fatta più grande, di sé stessa uscìo, e che si fesse rimembrar non sape.

«Apri li occhi e riguarda qual son io; tu hai vedute cose, che possente

se' fatto a sostener lo riso mio».

Io era come quei che si risente

di visïone oblita e che s'ingegna indarno di ridurlasi a la mente,

quand' io udi' questa proferta, degna di tanto grato, che mai non si stingue del libro che 'l preterito rassegna.

Se mo sonasser tutte quelle lingue che Polimnïa con le suore fero

Are sens

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