Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
due branche avea pilose insin l'ascelle; lo dosso e 'l petto e ambedue le coste dipinti avea di nodi e di rotelle.
Con più color, sommesse e sovraposte non fer mai drappi Tartari né Turchi, né fuor tai tele per Aragne imposte.
Come talvolta stanno a riva i burchi, che parte sono in acqua e parte in terra, e come là tra li Tedeschi lurchi
lo bivero s'assetta a far sua guerra, così la fiera pessima si stava
su l'orlo ch'è di pietra e 'l sabbion serra.
Nel vano tutta sua coda guizzava, torcendo in sù la venenosa forca
ch'a guisa di scorpion la punta armava.
Lo duca disse: «Or convien che si torca la nostra via un poco insino a quella bestia malvagia che colà si corca».
Però scendemmo a la destra mammella, e diece passi femmo in su lo stremo, per ben cessar la rena e la fiammella.
E quando noi a lei venuti semo,
poco più oltre veggio in su la rena gente seder propinqua al loco scemo.
Quivi 'l maestro «Acciò che tutta piena esperïenza d'esto giron porti»,
mi disse, «va, e vedi la lor mena.
Li tuoi ragionamenti sian là corti; mentre che torni, parlerò con questa, che ne conceda i suoi omeri forti».
Così ancor su per la strema testa di quel settimo cerchio tutto solo andai, dove sedea la gente mesta.
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Per li occhi fora scoppiava lor duolo; di qua, di là soccorrien con le mani quando a' vapori, e quando al caldo suolo: non altrimenti fan di state i cani or col ceffo or col piè, quando son morsi o da pulci o da mosche o da tafani.
Poi che nel viso a certi li occhi porsi, ne' quali 'l doloroso foco casca, non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi che dal collo a ciascun pendea una tasca ch'avea certo colore e certo segno, e quindi par che 'l loro occhio si pasca.
E com' io riguardando tra lor vegno, in una borsa gialla vidi azzurro
che d'un leone avea faccia e contegno.
Poi, procedendo di mio sguardo il curro, vidine un'altra come sangue rossa, mostrando un'oca bianca più che burro.
E un che d'una scrofa azzurra e grossa segnato avea lo suo sacchetto bianco, mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
Or te ne va; e perché se' vivo anco, sappi che 'l mio vicin Vitalïano
sederà qui dal mio sinistro fianco.
Con questi Fiorentin son padoano: spesse fïate mi 'ntronan li orecchi gridando: "Vegna 'l cavalier sovrano, che recherà la tasca con tre becchi!"».
Qui distorse la bocca e di fuor trasse la lingua, come bue che 'l naso lecchi.
E io, temendo no 'l più star crucciasse lui che di poco star m'avea 'mmonito, 75
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torna'mi in dietro da l'anime lasse.
Trova' il duca mio ch'era salito
già su la groppa del fiero animale, e disse a me: «Or sie forte e ardito.
Omai si scende per sì fatte scale; monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo, sì che la coda non possa far male».
Qual è colui che sì presso ha 'l riprezzo de la quartana, c'ha già l'unghie smorte, e triema tutto pur guardando 'l rezzo, tal divenn' io a le parole porte; ma vergogna mi fé le sue minacce, che innanzi a buon segnor fa servo forte.
I' m'assettai in su quelle spallacce; sì volli dir, ma la voce non venne com' io credetti: 'Fa che tu m'abbracce'.
Ma esso, ch'altra volta mi sovvenne ad altro forse, tosto ch'i' montai con le braccia m'avvinse e mi sostenne; e disse: «Gerïon, moviti omai:
le rote larghe, e lo scender sia poco; pensa la nova soma che tu hai».
Come la navicella esce di loco
in dietro in dietro, sì quindi si tolse; e poi ch'al tutto si sentì a gioco, là 'v' era 'l petto, la coda rivolse, e quella tesa, come anguilla, mosse, e con le branche l'aere a sé raccolse.