Maggior paura non credo che fosse quando Fetonte abbandonò li freni, per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse; né quando Icaro misero le reni
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sentì spennar per la scaldata cera, gridando il padre a lui «Mala via tieni!», che fu la mia, quando vidi ch'i' era ne l'aere d'ogne parte, e vidi spenta ogne veduta fuor che de la fera.
Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n'accorgo se non che al viso e di sotto mi venta.
Io sentia già da la man destra il gorgo far sotto noi un orribile scroscio, per che con li occhi 'n giù la testa sporgo.
Allor fu' io più timido a lo stoscio, però ch'i' vidi fuochi e senti' pianti; ond' io tremando tutto mi raccoscio.
E vidi poi, ché nol vedea davanti, lo scendere e 'l girar per li gran mali che s'appressavan da diversi canti.
Come 'l falcon ch'è stato assai su l'ali, che sanza veder logoro o uccello
fa dire al falconiere «Omè, tu cali!», discende lasso onde si move isnello, per cento rote, e da lunge si pone dal suo maestro, disdegnoso e fello; così ne puose al fondo Gerïone
al piè al piè de la stagliata rocca, e, discarcate le nostre persone,
si dileguò come da corda cocca.
CANTO XVIII
[Canto XVIII, ove si descrive come è fatto il luogo di Malebolge e tratta de' ruffiani e ingannatori e lusinghieri, ove dinomina in 77
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questa setta messer Venedico Caccianemico da Bologna e Giasone greco e Alessio de li Interminelli da Lucca, e tratta come sono state loro pene.]
Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge.
Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l'ordigno.
Quel cinghio che rimane adunque è tondo tra 'l pozzo e 'l piè de l'alta ripa dura, e ha distinto in dieci valli il fondo.
Quale, dove per guardia de le mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dove son rende figura,
tale imagine quivi facean quelli; e come a tai fortezze da' lor sogli a la ripa di fuor son ponticelli, così da imo de la roccia scogli
movien che ricidien li argini e ' fossi infino al pozzo che i tronca e raccogli.
In questo luogo, de la schiena scossi di Gerïon, trovammoci; e 'l poeta tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
A la man destra vidi nova pieta,
novo tormento e novi frustatori,
di che la prima bolgia era repleta.
Nel fondo erano ignudi i peccatori; dal mezzo in qua ci venien verso 'l volto, di là con noi, ma con passi maggiori, 78
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come i Roman per l'essercito molto, l'anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto, che da l'un lato tutti hanno la fronte verso 'l castello e vanno a Santo Pietro, da l'altra sponda vanno verso 'l monte.
Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro.
Ahi come facean lor levar le berze a le prime percosse! già nessuno
le seconde aspettava né le terze.
Mentr' io andava, li occhi miei in uno furo scontrati; e io sì tosto dissi:
«Già di veder costui non son digiuno».
Per ch'ïo a figurarlo i piedi affissi; e 'l dolce duca meco si ristette, e assentio ch'alquanto in dietro gissi.
E quel frustato celar si credette bassando 'l viso; ma poco li valse, ch'io dissi: «O tu che l'occhio a terra gette, se le fazion che porti non son false, Venedico se' tu Caccianemico.
Ma che ti mena a sì pungenti salse?».
Ed elli a me: «Mal volontier lo dico; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico.
I' fui colui che la Ghisolabella