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Irato Calcabrina de la buffa,

volando dietro li tenne, invaghito che quei campasse per aver la zuffa; e come 'l barattier fu disparito, così volse li artigli al suo compagno, e fu con lui sopra 'l fosso ghermito.

Ma l'altro fu bene sparvier grifagno ad artigliar ben lui, e amendue

cadder nel mezzo del bogliente stagno.

Lo caldo sghermitor sùbito fue;

ma però di levarsi era neente,

sì avieno inviscate l'ali sue.

Barbariccia, con li altri suoi dolente, quattro ne fé volar da l'altra costa con tutt' i raffi, e assai prestamente di qua, di là discesero a la posta; porser li uncini verso li 'mpaniati, ch'eran già cotti dentro da la crosta.

E noi lasciammo lor così 'mpacciati.

CANTO XXIII

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

[Canto XXIII, nel quale tratta de la divina vendetta contra l'ipocriti; del quale peccato sotto il vocabulo di due cittadini di Bologna abomina l'auttore li bolognesi, e li giudei sotto il nome d'Anna e di Caifas; e qui è la sesta bolgia.]

Taciti, soli, sanza compagnia

n'andavam l'un dinanzi e l'altro dopo, come frati minor vanno per via.

Vòlt' era in su la favola d'Isopo lo mio pensier per la presente rissa, dov' el parlò de la rana e del topo; ché più non si pareggia 'mo' e 'issa'

che l'un con l'altro fa, se ben s'accoppia principio e fine con la mente fissa.

E come l'un pensier de l'altro scoppia, così nacque di quello un altro poi, che la prima paura mi fé doppia.

Io pensava così: «Questi per noi

sono scherniti con danno e con beffa sì fatta, ch'assai credo che lor nòi.

Se l'ira sovra 'l mal voler s'aggueffa, ei ne verranno dietro più crudeli che 'l cane a quella lievre ch'elli acceffa».

Già mi sentia tutti arricciar li peli de la paura e stava in dietro intento, quand' io dissi: «Maestro, se non celi te e me tostamente, i' ho pavento d'i Malebranche. Noi li avem già dietro; io li 'magino sì, che già li sento».

E quei: «S'i' fossi di piombato vetro, l'imagine di fuor tua non trarrei 101

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

più tosto a me, che quella dentro 'mpetro.

Pur mo venieno i tuo' pensier tra ' miei, con simile atto e con simile faccia, sì che d'intrambi un sol consiglio fei.

S'elli è che sì la destra costa giaccia, che noi possiam ne l'altra bolgia scendere, noi fuggirem l'imaginata caccia».

Già non compié di tal consiglio rendere, ch'io li vidi venir con l'ali tese non molto lungi, per volerne prendere.

Lo duca mio di sùbito mi prese,

come la madre ch'al romore è desta e vede presso a sé le fiamme accese, che prende il figlio e fugge e non s'arresta, avendo più di lui che di sé cura, tanto che solo una camiscia vesta; e giù dal collo de la ripa dura

supin si diede a la pendente roccia, che l'un de' lati a l'altra bolgia tura.

Non corse mai sì tosto acqua per doccia a volger ruota di molin terragno, quand' ella più verso le pale approccia, come 'l maestro mio per quel vivagno, portandosene me sovra 'l suo petto, come suo figlio, non come compagno.

A pena fuoro i piè suoi giunti al letto del fondo giù, ch'e' furon in sul colle sovresso noi; ma non lì era sospetto: ché l'alta provedenza che lor volle porre ministri de la fossa quinta, poder di partirs' indi a tutti tolle.

Là giù trovammo una gente dipinta 102

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

che giva intorno assai con lenti passi, piangendo e nel sembiante stanca e vinta.

Elli avean cappe con cappucci bassi dinanzi a li occhi, fatte de la taglia che in Clugnì per li monaci fassi.

Di fuor dorate son, sì ch'elli abbaglia; ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, che Federigo le mettea di paglia.

Oh in etterno faticoso manto!

Noi ci volgemmo ancor pur a man manca con loro insieme, intenti al tristo pianto; ma per lo peso quella gente stanca venìa sì pian, che noi eravam nuovi di compagnia ad ogne mover d'anca.

Per ch'io al duca mio: «Fa che tu trovi alcun ch'al fatto o al nome si conosca, e li occhi, sì andando, intorno movi».

E un che 'ntese la parola tosca,

di retro a noi gridò: «Tenete i piedi, voi che correte sì per l'aura fosca!

Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi».

Onde 'l duca si volse e disse: «Aspetta, e poi secondo il suo passo procedi».

Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta de l'animo, col viso, d'esser meco; ma tardavali 'l carco e la via stretta.

Quando fuor giunti, assai con l'occhio bieco mi rimiraron sanza far parola;

poi si volsero in sé, e dicean seco:

«Costui par vivo a l'atto de la gola; e s'e' son morti, per qual privilegio vanno scoperti de la grave stola?».

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Are sens