condussi a far la voglia del marchese, come che suoni la sconcia novella.
E non pur io qui piango bolognese; anzi n'è questo loco tanto pieno, 79
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
che tante lingue non son ora apprese a dicer 'sipa' tra Sàvena e Reno; e se di ciò vuoi fede o testimonio, rècati a mente il nostro avaro seno».
Così parlando il percosse un demonio de la sua scurïada, e disse: «Via, ruffian! qui non son femmine da conio».
I' mi raggiunsi con la scorta mia; poscia con pochi passi divenimmo
là 'v' uno scoglio de la ripa uscia.
Assai leggeramente quel salimmo;
e vòlti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie etterne ci partimmo.
Quando noi fummo là dov' el vaneggia di sotto per dar passo a li sferzati, lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia lo viso in te di quest' altri mal nati, ai quali ancor non vedesti la faccia però che son con noi insieme andati».
Del vecchio ponte guardavam la traccia che venìa verso noi da l'altra banda, e che la ferza similmente scaccia.
E 'l buon maestro, sanza mia dimanda, mi disse: «Guarda quel grande che vene, e per dolor non par lagrime spanda: quanto aspetto reale ancor ritene!
Quelli è Iasón, che per cuore e per senno li Colchi del monton privati féne.
Ello passò per l'isola di Lenno
poi che l'ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno.
Ivi con segni e con parole ornate 80
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Isifile ingannò, la giovinetta
che prima avea tutte l'altre ingannate.
Lasciolla quivi, gravida, soletta; tal colpa a tal martiro lui condanna; e anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna; e questo basti de la prima valle
sapere e di color che 'n sé assanna».
Già eravam là 've lo stretto calle con l'argine secondo s'incrocicchia, e fa di quello ad un altr' arco spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia ne l'altra bolgia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d'una muffa, per l'alito di giù che vi s'appasta, che con li occhi e col naso facea zuffa.
Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso.
E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parëa s'era laico o cherco.
Quei mi sgridò: «Perché se' tu sì gordo di riguardar più me che li altri brutti?».
E io a lui: «Perché, se ben ricordo, già t'ho veduto coi capelli asciutti, e se' Alessio Interminei da Lucca: però t'adocchio più che li altri tutti».
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Ed elli allor, battendosi la zucca:
«Qua giù m'hanno sommerso le lusinghe ond' io non ebbi mai la lingua stucca».
Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse, «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l'occhio attinghe di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l'unghie merdose, e or s'accoscia e ora è in piedi stante.
Taïde è, la puttana che rispuose
al drudo suo quando disse "Ho io grazie grandi apo te?": "Anzi maravigliose!".
E quinci sian le nostre viste sazie».
CANTO XIX
[Canto XIX, nel quale sgrida contra li simoniachi in persona di Simone Mago, che fu al tempo di san Pietro e di santo Paulo, e contra tutti coloro che simonia seguitano, e qui pone le pene che sono concedute a coloro che seguitano il sopradetto vizio, e dinomaci entro papa Niccola de li Orsini di Roma perché seguitò simonia; e pone de la terza bolgia de l'inferno.]