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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Poi disser me: «O Tosco, ch'al collegio de l'ipocriti tristi se' venuto,

dir chi tu se' non avere in dispregio».

E io a loro: «I' fui nato e cresciuto sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa, e son col corpo ch'i' ho sempre avuto.

Ma voi chi siete, a cui tanto distilla quant' i' veggio dolor giù per le guance?

e che pena è in voi che sì sfavilla?».

E l'un rispuose a me: «Le cappe rance son di piombo sì grosse, che li pesi fan così cigolar le lor bilance.

Frati godenti fummo, e bolognesi; io Catalano e questi Loderingo

nomati, e da tua terra insieme presi come suole esser tolto un uom solingo, per conservar sua pace; e fummo tali, ch'ancor si pare intorno dal Gardingo».

Io cominciai: «O frati, i vostri mali... »; ma più non dissi, ch'a l'occhio mi corse un, crucifisso in terra con tre pali.

Quando mi vide, tutto si distorse, soffiando ne la barba con sospiri; e 'l frate Catalan, ch'a ciò s'accorse, mi disse: «Quel confitto che tu miri, consigliò i Farisei che convenia

porre un uom per lo popolo a' martìri.

Attraversato è, nudo, ne la via,

come tu vedi, ed è mestier ch'el senta qualunque passa, come pesa, pria.

E a tal modo il socero si stenta

in questa fossa, e li altri dal concilio che fu per li Giudei mala sementa».

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Allor vid' io maravigliar Virgilio sovra colui ch'era disteso in croce tanto vilmente ne l'etterno essilio.

Poscia drizzò al frate cotal voce:

«Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci s'a la man destra giace alcuna foce onde noi amendue possiamo uscirci, sanza costrigner de li angeli neri che vegnan d'esto fondo a dipartirci».

Rispuose adunque: «Più che tu non speri s'appressa un sasso che da la gran cerchia si move e varca tutt' i vallon feri, salvo che 'n questo è rotto e nol coperchia; montar potrete su per la ruina,

che giace in costa e nel fondo soperchia».

Lo duca stette un poco a testa china; poi disse: «Mal contava la bisogna colui che i peccator di qua uncina».

E 'l frate: «Io udi' già dire a Bologna del diavol vizi assai, tra ' quali udi'

ch'elli è bugiardo e padre di menzogna».

Appresso il duca a gran passi sen gì, turbato un poco d'ira nel sembiante; ond' io da li 'ncarcati mi parti'

dietro a le poste de le care piante.

CANTO XXIV

[Canto XXIV, nel quale tratta de le pene che puniscono li furti, dove trattando de' ladroni sgrida contro a' Pistolesi sotto il vocabulo di Vanni Fucci, per la cui lingua antidice del tempo futuro; ed è la settima bolgia.]

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

In quella parte del giovanetto anno che 'l sole i crin sotto l'Aquario tempra e già le notti al mezzo dì sen vanno, quando la brina in su la terra assempra l'imagine di sua sorella bianca,

ma poco dura a la sua penna tempra, lo villanello a cui la roba manca, si leva, e guarda, e vede la campagna biancheggiar tutta; ond' ei si batte l'anca, ritorna in casa, e qua e là si lagna, come 'l tapin che non sa che si faccia; poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo 'l mondo aver cangiata faccia in poco d'ora, e prende suo vincastro e fuor le pecorelle a pascer caccia.

Così mi fece sbigottir lo mastro

quand' io li vidi sì turbar la fronte, e così tosto al mal giunse lo 'mpiastro; ché, come noi venimmo al guasto ponte, lo duca a me si volse con quel piglio dolce ch'io vidi prima a piè del monte.

Le braccia aperse, dopo alcun consiglio eletto seco riguardando prima

ben la ruina, e diedemi di piglio.

E come quei ch'adopera ed estima, che sempre par che 'nnanzi si proveggia, così, levando me sù ver' la cima

d'un ronchione, avvisava un'altra scheggia dicendo: «Sovra quella poi t'aggrappa; 106

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ma tenta pria s'è tal ch'ella ti reggia».

Non era via da vestito di cappa,

ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, potavam sù montar di chiappa in chiappa.

E se non fosse che da quel precinto più che da l'altro era la costa corta, non so di lui, ma io sarei ben vinto.

Ma perché Malebolge inver' la porta del bassissimo pozzo tutta pende, lo sito di ciascuna valle porta

che l'una costa surge e l'altra scende; noi pur venimmo al fine in su la punta onde l'ultima pietra si scoscende.

La lena m'era del polmon sì munta quand' io fui sù, ch'i' non potea più oltre, anzi m'assisi ne la prima giunta.

«Omai convien che tu così ti spoltre», disse 'l maestro; «ché, seggendo in piuma, in fama non si vien, né sotto coltre; sanza la qual chi sua vita consuma, cotal vestigio in terra di sé lascia, qual fummo in aere e in acqua la schiuma.

E però leva sù; vinci l'ambascia

Are sens