Per tutt' i cerchi de lo 'nferno scuri non vidi spirto in Dio tanto superbo, non quel che cadde a Tebe giù da' muri.
El si fuggì che non parlò più verbo; e io vidi un centauro pien di rabbia venir chiamando: «Ov' è, ov' è l'acerbo?».
Maremma non cred' io che tante n'abbia, quante bisce elli avea su per la groppa infin ove comincia nostra labbia.
Sovra le spalle, dietro da la coppa, con l'ali aperte li giacea un draco; e quello affuoca qualunque s'intoppa.
Lo mio maestro disse: «Questi è Caco, che, sotto 'l sasso di monte Aventino, di sangue fece spesse volte laco.
Non va co' suoi fratei per un cammino, per lo furto che frodolente fece
111
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
del grande armento ch'elli ebbe a vicino; onde cessar le sue opere biece
sotto la mazza d'Ercule, che forse gliene diè cento, e non sentì le diece».
Mentre che sì parlava, ed el trascorse, e tre spiriti venner sotto noi,
de' quai né io né 'l duca mio s'accorse, se non quando gridar: «Chi siete voi?»; per che nostra novella si ristette, e intendemmo pur ad essi poi.
Io non li conoscea; ma ei seguette, come suol seguitar per alcun caso, che l'un nomar un altro convenette, dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»; per ch'io, acciò che 'l duca stesse attento, mi puosi 'l dito su dal mento al naso.
Se tu se' or, lettore, a creder lento ciò ch'io dirò, non sarà maraviglia, ché io che 'l vidi, a pena il mi consento.
Com' io tenea levate in lor le ciglia, e un serpente con sei piè si lancia dinanzi a l'uno, e tutto a lui s'appiglia.
Co' piè di mezzo li avvinse la pancia e con li anterïor le braccia prese; poi li addentò e l'una e l'altra guancia; li diretani a le cosce distese,
e miseli la coda tra 'mbedue
e dietro per le ren sù la ritese.
Ellera abbarbicata mai non fue
ad alber sì, come l'orribil fiera per l'altrui membra avviticchiò le sue.
Poi s'appiccar, come di calda cera 112
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
fossero stati, e mischiar lor colore, né l'un né l'altro già parea quel ch'era: come procede innanzi da l'ardore, per lo papiro suso, un color bruno che non è nero ancora e 'l bianco more.
Li altri due 'l riguardavano, e ciascuno gridava: «Omè, Agnel, come ti muti!
Vedi che già non se' né due né uno».
Già eran li due capi un divenuti, quando n'apparver due figure miste in una faccia, ov' eran due perduti.
Fersi le braccia due di quattro liste; le cosce con le gambe e 'l ventre e 'l casso divenner membra che non fuor mai viste.
Ogne primaio aspetto ivi era casso: due e nessun l'imagine perversa
parea; e tal sen gio con lento passo.
Come 'l ramarro sotto la gran fersa dei dì canicular, cangiando sepe, folgore par se la via attraversa, sì pareva, venendo verso l'epe
de li altri due, un serpentello acceso, livido e nero come gran di pepe;
e quella parte onde prima è preso nostro alimento, a l'un di lor trafisse; poi cadde giuso innanzi lui disteso.
Lo trafitto 'l mirò, ma nulla disse; anzi, co' piè fermati, sbadigliava pur come sonno o febbre l'assalisse.
Elli 'l serpente e quei lui riguardava; l'un per la piaga e l'altro per la bocca fummavan forte, e 'l fummo si scontrava.
113
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
Taccia Lucano ormai là dov' e' tocca del misero Sabello e di Nasidio,
e attenda a udir quel ch'or si scocca.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio, ché se quello in serpente e quella in fonte converte poetando, io non lo 'nvidio; ché due nature mai a fronte a fronte non trasmutò sì ch'amendue le forme a cambiar lor matera fosser pronte.
Insieme si rispuosero a tai norme, che 'l serpente la coda in forca fesse, e 'l feruto ristrinse insieme l'orme.