Le gambe con le cosce seco stesse s'appiccar sì, che 'n poco la giuntura non facea segno alcun che si paresse.
Togliea la coda fessa la figura
che si perdeva là, e la sua pelle si facea molle, e quella di là dura.
Io vidi intrar le braccia per l'ascelle, e i due piè de la fiera, ch'eran corti, tanto allungar quanto accorciavan quelle.
Poscia li piè di rietro, insieme attorti, diventaron lo membro che l'uom cela, e 'l misero del suo n'avea due porti.
Mentre che 'l fummo l'uno e l'altro vela di color novo, e genera 'l pel suso per l'una parte e da l'altra il dipela, l'un si levò e l'altro cadde giuso, non torcendo però le lucerne empie, sotto le quai ciascun cambiava muso.
Quel ch'era dritto, il trasse ver' le tempie, e di troppa matera ch'in là venne uscir li orecchi de le gote scempie; 114
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
ciò che non corse in dietro e si ritenne di quel soverchio, fé naso a la faccia e le labbra ingrossò quanto convenne.
Quel che giacëa, il muso innanzi caccia, e li orecchi ritira per la testa
come face le corna la lumaccia;
e la lingua, ch'avëa unita e presta prima a parlar, si fende, e la forcuta ne l'altro si richiude; e 'l fummo resta.
L'anima ch'era fiera divenuta,
suffolando si fugge per la valle, e l'altro dietro a lui parlando sputa.
Poscia li volse le novelle spalle, e disse a l'altro: «I' vo' che Buoso corra, com' ho fatt' io, carpon per questo calle».
Così vid' io la settima zavorra
mutare e trasmutare; e qui mi scusi la novità se fior la penna abborra.
E avvegna che li occhi miei confusi fossero alquanto e l'animo smagato, non poter quei fuggirsi tanto chiusi, ch'i' non scorgessi ben Puccio Sciancato; ed era quel che sol, di tre compagni che venner prima, non era mutato; l'altr' era quel che tu, Gaville, piagni.
CANTO XXVI
[Canto XXVI, nel quale si tratta de l'ottava bolgia contro a quelli che mettono aguati e danno frodolenti consigli; e in prima sgrida contro a' fiorentini e tacitamente predice del futuro e in persona d'Ulisse e Diomedes pone loro pene.]
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Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande che per mare e per terra batti l'ali, e per lo 'nferno tuo nome si spande!
Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali.
Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai, di qua da picciol tempo, di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna.
E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss' ei, da che pur esser dee!
ché più mi graverà, com' più m'attempo.
Noi ci partimmo, e su per le scalee che n'avea fatto iborni a scender pria, rimontò 'l duca mio e trasse mee; e proseguendo la solinga via,
tra le schegge e tra ' rocchi de lo scoglio lo piè sanza la man non si spedia.
Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi, e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio, perché non corra che virtù nol guidi; sì che, se stella bona o miglior cosa m'ha dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi.
Quante 'l villan ch'al poggio si riposa, nel tempo che colui che 'l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
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forse colà dov' e' vendemmia e ara: di tante fiamme tutta risplendea
l'ottava bolgia, sì com' io m'accorsi tosto che fui là 've 'l fondo parea.
E qual colui che si vengiò con li orsi vide 'l carro d'Elia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levorsi, che nol potea sì con li occhi seguire, ch'el vedesse altro che la fiamma sola, sì come nuvoletta, in sù salire:
tal si move ciascuna per la gola
del fosso, ché nessuna mostra 'l furto, e ogne fiamma un peccatore invola.