supin si diede a la pendente roccia, che l'un de' lati a l'altra bolgia tura.
Non corse mai sì tosto acqua per doccia a volger ruota di molin terragno, quand' ella più verso le pale approccia, come 'l maestro mio per quel vivagno, portandosene me sovra 'l suo petto, come suo figlio, non come compagno.
A pena fuoro i piè suoi giunti al letto del fondo giù, ch'e' furon in sul colle sovresso noi; ma non lì era sospetto: ché l'alta provedenza che lor volle porre ministri de la fossa quinta, poder di partirs' indi a tutti tolle.
Là giù trovammo una gente dipinta 102
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che giva intorno assai con lenti passi, piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
Elli avean cappe con cappucci bassi dinanzi a li occhi, fatte de la taglia che in Clugnì per li monaci fassi.
Di fuor dorate son, sì ch'elli abbaglia; ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, che Federigo le mettea di paglia.
Oh in etterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca con loro insieme, intenti al tristo pianto; ma per lo peso quella gente stanca venìa sì pian, che noi eravam nuovi di compagnia ad ogne mover d'anca.
Per ch'io al duca mio: «Fa che tu trovi alcun ch'al fatto o al nome si conosca, e li occhi, sì andando, intorno movi».
E un che 'ntese la parola tosca,
di retro a noi gridò: «Tenete i piedi, voi che correte sì per l'aura fosca!
Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi».
Onde 'l duca si volse e disse: «Aspetta, e poi secondo il suo passo procedi».
Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta de l'animo, col viso, d'esser meco; ma tardavali 'l carco e la via stretta.
Quando fuor giunti, assai con l'occhio bieco mi rimiraron sanza far parola;
poi si volsero in sé, e dicean seco:
«Costui par vivo a l'atto de la gola; e s'e' son morti, per qual privilegio vanno scoperti de la grave stola?».
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Poi disser me: «O Tosco, ch'al collegio de l'ipocriti tristi se' venuto,
dir chi tu se' non avere in dispregio».
E io a loro: «I' fui nato e cresciuto sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa, e son col corpo ch'i' ho sempre avuto.
Ma voi chi siete, a cui tanto distilla quant' i' veggio dolor giù per le guance?
e che pena è in voi che sì sfavilla?».
E l'un rispuose a me: «Le cappe rance son di piombo sì grosse, che li pesi fan così cigolar le lor bilance.
Frati godenti fummo, e bolognesi; io Catalano e questi Loderingo
nomati, e da tua terra insieme presi come suole esser tolto un uom solingo, per conservar sua pace; e fummo tali, ch'ancor si pare intorno dal Gardingo».
Io cominciai: «O frati, i vostri mali... »; ma più non dissi, ch'a l'occhio mi corse un, crucifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse, soffiando ne la barba con sospiri; e 'l frate Catalan, ch'a ciò s'accorse, mi disse: «Quel confitto che tu miri, consigliò i Farisei che convenia
porre un uom per lo popolo a' martìri.
Attraversato è, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed è mestier ch'el senta qualunque passa, come pesa, pria.
E a tal modo il socero si stenta
in questa fossa, e li altri dal concilio che fu per li Giudei mala sementa».
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Allor vid' io maravigliar Virgilio sovra colui ch'era disteso in croce tanto vilmente ne l'etterno essilio.
Poscia drizzò al frate cotal voce: