"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » Italian Books » 🤍🤍🤍✨,,L'amica geniale'' di Elena Ferrante🤍🤍🤍✨

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«Dove?».

«A Ischia».

«Pure io stavo Ischia».

«Lo so, Lina me l’ha detto: t’ho cercata ma non ti ho mai vista».

Indicai la macchina.

«È bella».

Stefano si dipinse in viso un’espressione di moderato consenso. Disse accennando a Lila, con occhi divertiti:

«L’ho comprata per la tua amica, ma lei non ci vuole credere». Guardai Lila che se ne stava seria, all’ombra, l’espressione tesa. Stefano le si rivolse vagamente ironico: «Ora Lenuccia è tornata, che fai?».

Lila disse come se la cosa le dispiacesse: «Andiamo. Ma ricordati che hai invitato lei, non me: io vi ho solo accompagnati».

Lui sorrise e tornò nel negozio.

«Che succede?» le chiesi disorientata.

«Non lo so» rispose, e voleva dire che non sapeva di preciso in cosa si stava ficcando. Aveva l’aria di quando doveva fare a mente un calcolo

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difficile, però senza l’espressione sfrontata di sempre, era visibilmente preoccupata, come se stesse tentando un esperimento di esito incerto. «È

cominciato tutto» mi disse, «con l’arrivo di questa automobile». Stefano, prima come se scherzasse, poi sempre più seriamente, le aveva giurato di aver comprato quell’auto per lei, per il piacere di aprirle almeno una volta lo sportello e farcela salire. «Qua dentro ci stai bene solo tu» le aveva detto. E

da quando gliel’avevano consegnata, alla fine di luglio, le aveva chiesto di continuo, ma non in modo assillante, con gentilezza, prima di fare un giro con lui e Alfonso, poi con lui e Pinuccia, poi persino con lui e la madre. Ma lei aveva risposto sempre no. Finalmente gli aveva promesso: «Ci vengo quando torna Lenuccia da Ischia». E ora eravamo lì, e quel che doveva succedere sarebbe successo.

«Ma lo sa di Marcello?».

«Certo che lo sa».

«E allora?».

«Allora insiste».

«Ho paura, Lila».

«Ti ricordi quante cose abbiamo fatto che ci facevano paura? Ho aspettato te apposta».

Stefano tornò senza camice, nero di capelli, nero di viso, occhi neri lucenti, camicia bianca e pantaloni scuri. Aprì l’automobile, sedette al volante, sollevò la capote. Io feci per infilarmi nell’esiguo spazio posteriore ma Lila mi bloccò, si sistemò lei dietro. Mi accomodai a disagio accanto a Stefano, lui partì subito dirigendosi verso le palazzine nuove.

La calura si disperse col vento. Mi sentii bene, inebriata dalla velocità e insieme dalle tranquille certezze sprigionate dal corpo di Carracci. Mi sembrò che Lila mi avesse spiegato tutto senza spiegarmi niente. C’era, sì, quell’automobile sportiva nuova fiammante che era stata comprata solo per portarla a fare il giro che era appena cominciato. C’era, sì, quel giovane che, pur sapendo di Marcello Solara, violava regole virili senza alcuna visibile ansia. C’ero, sì, io, tirata in fretta e furia dentro quella vicenda per nascondere con la mia presenza parole segrete tra loro, forse addirittura un’amicizia. Ma che tipo di amicizia? Di sicuro stava accadendo, con quel giro in macchina, qualcosa di rilevante, eppure Lila non aveva saputo o voluto fornirmi gli elementi necessari per capire. Che aveva in mente? Non poteva non sapere che stava avviando un terremoto peggio di quando lanciava pezzetti di carta intrisi d’inchiostro. E tuttavia era probabile che davvero non puntasse a

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niente di preciso. Lei era così, rompeva equilibri solo per vedere in quale altro modo poteva ricomporli. Sicché eccoci in corsa, capelli al vento, Stefano che guidava con soddisfatta perizia, io che gli sedevo a lato come se fossi la sua fidanzata. Pensai a come mi aveva guardato, quando mi aveva detto che sembravo un’attrice. Pensai alla possibilità di potergli piacere più di quanto ora gli piacesse la mia amica. Pensai con orrore all’eventualità che Marcello Solara gli sparasse. La sua bella persona dai gesti sicuri avrebbe perso consistenza come il rame della pentola di cui mi aveva scritto Lila.

Il giro per le palazzine nuove servì a evitare di passare davanti al bar Solara.

«A me non importa se Marcello ci vede» disse Stefano senza enfasi, «ma se importa a te va bene così».

Imboccammo il tunnel, filammo verso la Marina. Era la strada che avevamo fatto io e Lila molti anni prima, quando ci aveva colto la pioggia. Io accennai a quell’episodio, lei sorrise, Stefano volle che raccontassimo.

Raccontammo ogni cosa, ci divertimmo e intanto arrivammo ai Granili.

«Che vi pare, corre, no?».

«Velocissima» dissi io entusiasta.

Lila non fece alcun commento. Si guardava intorno, a volte mi toccava la spalla per indicarmi le case, la povertà stracciona per strada, come se ci vedesse una conferma di qualcosa e io dovessi capire al volo. Poi chiese a Stefano seria, senza preamboli:

«Tu sei veramente diverso?».

Lui la cercò nello specchietto.

«Da chi?».

«Lo sai».

Non rispose subito. Poi disse in dialetto: «Vuoi che ti dica la verità?».

«Sì».

«L’intenzione è quella, ma non lo so come andrà a finire».

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