"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » » 🤍🤍🤍✨,,L'amica geniale'' di Elena Ferrante🤍🤍🤍✨

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Di nuovo cercai di leggere. Ero abituata da tempo ad autodisciplinarmi e questa volta per qualche minuto riuscii davvero a riacciuffare il senso delle parole, mi ricordo che il romanzo era Oblomov. Quando tornai a sollevare lo sguardo Stefano era ancora seduto a guardare il mare, Lila non c’era più. La cercai con gli occhi e vidi che stava parlando con Antonio, e Antonio mi stava indicando. Le feci un saluto festoso a cui lei rispose altrettanto festosamente, e girandosi subito a chiamare Stefano.

Facemmo il bagno noi tre insieme, mentre Antonio badava alle figlie della cartolaia. Fu una giornata dall’apparenza allegra. A un certo punto Stefano ci trascinò tutti al bar, ordinò ogni ben di dio: panini, bibite, gelati, e le bambine subito mollarono Antonio e rivolsero a lui tutta l’attenzione. Quando i due giovani cominciarono a parlare di non so quali problemi alla decappottabile, una conversazione in cui Antonio fece una gran bella figura, mi portai via le ragazzine perché non li disturbassero. Lila mi raggiunse.

«Quanto ti paga la cartolaia?» mi chiese.

Glielo dissi.

«Poco».

«Secondo mia madre mi paga fin troppo».

«Ti devi far valere, Lenù».

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«Mi farò valere quando dovrò portare al mare i tuoi figli».

«Ti darò casse di monete d’oro, lo so quanto vale passare il tempo con te».

La guardai per capire se scherzava. Non scherzava, scherzò subito dopo, quando accennò ad Antonio:

«Lui lo conosce il tuo valore?».

«Siamo fidanzati da venti giorni».

«Gli vuoi bene?».

«No».

«E allora?».

La sfidai con lo sguardo.

«Tu vuoi bene a Stefano?».

Disse seria:

«Moltissimo».

«Più che ai tuoi genitori, più che a Rino?».

«Più che a tutti, ma non più che a te».

«Mi prendi in giro».

Però intanto pensai: anche se mi prende in giro, è bello parlarci così, al sole, sedute sul cemento caldo, coi piedi in acqua; pazienza se non mi ha chiesto che libro sto leggendo; pazienza se non s’è informata su come sono andati gli esami di quinto ginnasio; forse non è tutto finito: anche dopo sposata, qualcosa tra noi durerà. Le dissi:

«Vengo qui tutti i giorni. Perché non vieni anche tu?».

Si entusiasmò a quell’ipotesi, ne parlò a Stefano che fu d’accordo. Fu una bella giornata in cui tutti, miracolosamente, ci sentimmo a nostro agio. Poi il sole cominciò a declinare, era ora di portar via le bambine. Stefano andò alla cassa e lì scoprì che Antonio aveva già pagato tutto. Si rammaricò moltissimo, ringraziò calorosamente. Per strada, appena Stefano e Lila filarono via nella decappottabile, lo rimproverai. Melina e Ada lavavano le scale delle palazzine, lui prendeva quattro lire in officina.

«Perché hai pagato tu?» quasi gli gridai in dialetto, arrabbiata.

«Perché io e te siamo più belli e più signori» lui rispose.

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50.

Mi affezionai ad Antonio quasi senza accorgermene. I nostri giochi sessuali diventarono un po’ più audaci, un po’ più piacevoli. Pensai che se Lila fosse venuta ancora al Sea Garden le avrei chiesto cosa succedeva tra lei e Stefano quando si allontanavano in macchina da soli. Facevano le stesse cose che facevamo io e Antonio o di più, per esempio le cose che le attribuivano le voci messe in giro dai due Solara? Non avevo nessuno con cui confrontarmi se non lei. Ma non ci fu occasione per provare a porle quelle domande, non venne più al Sea Garden.

Sotto Ferragosto il mio lavoro finì e finì anche la gioia del sole e del mare.

La cartolaia fu soddisfattissima di come m’ero presa cura delle bambine e sebbene loro, malgrado le mie raccomandazioni, avessero raccontato alla madre che a volte veniva al mare un giovanotto mio amico con cui facevano bei tuffi, invece di rimproverarmi mi abbracciò, mi disse: «Meno male, sfrenati un poco per favore, sei troppo giudiziosa per la tua età». E aggiunse perfida: «Pensa a Lina Cerullo quante ne fa».

Agli stagni, la sera, dissi ad Antonio:

«È stato sempre così, fin da quando eravamo piccole: tutti credono che lei sia cattiva e io buona».

Lui mi baciò, mormorò ironico:

«Perché, non è così?».

Quella risposta mi intenerì e mi impedì di dirgli che dovevamo lasciarci.

Era una decisione che mi sembrava urgente, l’affetto non era l’amore, amavo Nino, sapevo che l’avrei amato per sempre. Avevo pronto per Antonio un discorso pacato, volevo dirgli: è stato un bel periodo, mi hai aiutata molto in un momento in cui ero triste, ma ora ricomincia la scuola e quest’anno faccio il primo liceo, ho materie nuove, è un anno difficile, dovrò studiare molto; mi dispiace ma dobbiamo smettere. Sentivo che era necessario e ogni pomeriggio andavo al nostro appuntamento agli stagni col mio discorsetto pronto. Ma lui era così affettuoso, così appassionato, che mi mancava il coraggio e rimandavo. A Ferragosto. Dopo Ferragosto. Entro la fine del

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mese. Mi dicevo: non si può baciare, toccare una persona, farsi toccare, ed essergli solo un poco affezionata; Lila vuole bene a Stefano moltissimo, io ad Antonio no.

Passò il tempo e non riuscii mai a trovare il momento adatto per parlargli.

Era preoccupato. Col caldo Melina in genere peggiorava, ma nella seconda metà di agosto il peggioramento diventò vistoso. Le era tornato in mente Sarratore, che lei chiamava Donato. Diceva di averlo visto, diceva che era venuto a prenderla, i figli non sapevano come fare a calmarla. A me venne l’ansia che Sarratore fosse veramente comparso per le vie del rione e che non cercasse Melina ma me. La notte mi svegliavo di soprassalto con l’impressione che fosse entrato dalla finestra e stesse nella stanza. Poi mi calmai, pensai: sarà in vacanza a Barano, ai Maronti, non certo qui, con questo caldo, le mosche, la polvere.

Ma una mattina che stavo andando a fare la spesa mi sentii chiamare. Mi girai e lì per lì non lo riconobbi. Poi misi a fuoco i baffi neri, i lineamenti piacevoli dorati dal sole, la bocca con le labbra sottili. Tirai diritto, lui mi venne dietro. Disse che lo aveva fatto soffrire non ritrovarmi a casa di Nella, a Barano, quell’estate. Disse che non pensava che a me, che senza di me non poteva vivere. Disse che per dare una forma al nostro amore aveva scritto molte poesie e che avrebbe voluto leggermele. Disse che voleva vedermi, parlarmi con agio, e che se mi fossi rifiutata si sarebbe ucciso. Allora mi fermai e gli sibilai che mi doveva lasciare in pace, che ero fidanzata, che non volevo vederlo mai più. Si disperò. Mormorò che mi avrebbe aspettato per sempre, che ogni giorno a mezzogiorno sarebbe stato all’ingresso del tunnel sullo stradone. Scossi la testa energicamente: non ci sarei mai andata. Si protese per baciarmi, io saltai indietro con un moto di ribrezzo, fece un sorriso di disappunto. Mormorò: «Sei brava, sei sensibile, ti porterò le poesie a cui tengo di più» e se ne andò.

Ero spaventatissima, non sapevo cosa fare. Decisi di ricorrere ad Antonio.

La sera stessa, agli stagni, gli dissi che sua madre aveva ragione, Donato Sarratore si aggirava per il quartiere. Mi aveva fermato per strada. Mi aveva chiesto di dire a Melina che lui l’avrebbe aspettata sempre, tutti i giorni, all’imbocco del tunnel, a mezzogiorno. Antonio diventò cupo, mormorò:

«Che devo fare?». Gli dissi che l’avrei accompagnato io stessa all’appuntamento e che insieme avremmo fatto a Sarratore un discorso chiaro sullo stato di salute di sua madre.

Non dormii tutta la notte per la preoccupazione. Il giorno dopo andammo

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al tunnel. Antonio era taciturno, camminava senza fretta, sentivo che aveva addosso un peso che lo rallentava. Una parte di lui era furibonda e l’altra in soggezione. Pensai con rabbia: è stato capace di andare ad affrontare i Solara per sua sorella Ada, per Lila, ma ora è intimidito, Donato Sarratore ai suoi occhi è una persona importante, di prestigio. Sentirlo così mi rese più determinata, avrei voluto scuoterlo, gridargli: tu non hai scritto nessun libro, ma sei molto meglio di quell’uomo. Mi limitai a prenderlo sottobraccio.

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