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«Statti zitto, Anto’, fa’ rispondere a Pasquale».

Pasquale disse cupo:

«Sì, si è venduta. E se n’è fottuta della puzza dei soldi che ogni giorno spende».

Provai di nuovo a dire la mia, a quel punto, ma Enzo mi toccò un braccio.

«Scusa, Lenù, voglio sapere Pasquale come la chiama una femmina che si vende».

Qui Pasquale ebbe uno scatto di violenza che gli leggemmo tutti negli occhi e disse quello che da mesi aveva in mente di dire, di urlare a tutto il

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rione:

«Zoccola, la chiamo zoccola. Lina si è comportata e si sta comportando da zoccola».

Enzo si alzò e disse quasi a bassa voce:

«Vieni fuori».

Antonio balzò su, trattenne per un braccio Pasquale che voleva alzarsi, disse:

«Mo’ non esageriamo, Enzo. Pasquale sta solo dicendo una cosa che non è un’accusa, è una critica che ci sentiamo di fare tutti».

Enzo ripose, questa volta a voce alta:

«Io no». E andò verso l’uscita scandendo: «Vi aspetto fuori tutt’e due».

Impedimmo a Pasquale e Antonio di seguirlo, non successe niente. Si limitarono a tenersi il muso per qualche giorno, poi tutto come prima.

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46.

Ho raccontato questa litigata per dire come passò quell’anno e che clima ci fu intorno alle scelte di Lila, specialmente tra i giovani che segretamente o esplicitamente l’avevano amata, l’avevano desiderata, e con tutta probabilità l’amavano e la desideravano ancora. Quanto a me, è difficile dire in quale garbuglio di sentimenti mi trovassi. In ogni occasione difendevo Lila, e mi piaceva farlo, mi piaceva sentirmi parlare con l’autorità di chi fa studi difficili. Ma sapevo anche che avrei raccontato altrettanto volentieri, casomai con qualche esagerazione, come Lila era stata davvero dietro ogni mossa di Stefano, e io insieme con lei, concatenando passaggio a passaggio come se fosse un problema di matematica, fino a quel risultato: sistemarsi, sistemare il fratello, provare a realizzare il progetto del calzaturificio e persino prendere soldi per farmi riparare gli occhiali se si rompevano.

Passavo davanti alla vecchia bottega di Fernando e provavo un sentimento di vittoria per interposta persona. Lila, era evidente, ce l’aveva fatta. La calzoleria, che non aveva mai avuto insegna, ora esponeva in cima alla vecchia porta una specie di targa con la scritta: Cerullo. Fernando, Rino, i tre apprendisti lavoravano a jògnere, orlare, martellare, smerigliare da mattina a notte fonda chini sui deschi. Si sapeva che padre e figlio litigavano molto. Si sapeva che Fernando sosteneva che le scarpe, specialmente quelle per donna, non si potevano realizzare come se le era inventate Lila, che erano solo una fantasia di bambina. Si sapeva che Rino sosteneva il contrario e che andava da Lila a chiederle d’intervenire. Si sapeva che Lila diceva che non voleva più saperne, e che quindi Rino andava da Stefano e lo trascinava in bottega a dare lui ordini precisi al padre. Si sapeva che Stefano ci andava e che guardava a lungo i disegni di Lila incorniciati sulle pareti, sorrideva tra sé e sé e diceva pacatamente che voleva esattamente le scarpe come si vedevano in quei quadretti, li aveva attaccati lì apposta. Si sapeva insomma che tutto andava a rilento e i lavoranti prima ricevevano istruzioni da Fernando e poi Rino le cambiava e si bloccava tutto e si ricominciava e Fernando si accorgeva dei cambiamenti e tornava a cambiare e arrivava Stefano e via

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punto e daccapo, si finiva a urla, a oggetti spaccati.

Lanciavo uno sguardo e filavo via diritto. Ma mi restavano impressi i quadretti appesi alle pareti. Pensavo: “Quei disegni, per Lila, sono stati una fantasticheria, il denaro non c’entra, non c’entra vendersi. Tutto questo lavorio è il risultato finale di un suo estro, celebrato da Stefano solo per amore. Beata lei che è così amata, che ama. Beata lei che è adorata per quel che è e per ciò che sa inventare. Ora che ha dato al fratello quello che il fratello voleva, ora che l’ha tolto dai pericoli, s’inventerà sicuramente dell’altro. Perciò non voglio perderla di vista. Qualcosa accadrà”.

Ma non accadde niente. Lila si stabilizzò nel ruolo di fidanzata di Stefano.

E anche nei discorsi che facevamo, quando trovavo un po’ di tempo, mi sembrò sempre soddisfatta di ciò che era diventata, come se oltre non vedesse più niente, non volesse vedere più niente, se non il matrimonio, una casa, figli.

Ci rimasi male. Sembrava addolcita, senza più le asprezze di sempre. Me ne resi conto tempo dopo, quando attraverso Gigliola Spagnuolo mi arrivarono voci infamanti sul suo conto.

Gigliola mi disse con astio, in dialetto:

«Adesso la tua amica fa la principessa. Ma lo sa Stefano che quando Marcello andava a casa sua lei gli faceva un bocchino tutte le sere?».

Ignoravo cosa fosse un bocchino. La parola mi era nota fin da bambina ma il suo suono rimandava solo una specie di sfregio, qualcosa di molto umiliante.

«Non è vero».

«Marcello così dice».

«È bugiardo».

«Sì? E dice le bugie pure a suo fratello?».

«A te l’ha detto Michele?».

«Sì».

Sperai che quelle dicerie non arrivassero a Stefano. Ogni volta che tornavo da scuola mi dicevo: forse devo avvisare Lila, prima che succeda qualcosa di brutto. Ma temevo che s’infuriasse e che, per come era cresciuta, per come era fatta, andasse direttamente da Marcello Solara col trincetto. Comunque alla fine mi decisi: era meglio riferirle ciò che avevo appreso, così si sarebbe preparata a fronteggiare la situazione. Ma scoprii che sapeva già tutto. Non solo: era più informata di me su cos’era un bocchino. Me ne accorsi dal fatto che usò una formula più chiara per dirmi che lei quella cosa non l’avrebbe

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fatta mai a nessun uomo, tanto le faceva schifo, figuriamoci a Marcello Solara. Poi mi raccontò che la voce era già arrivata a Stefano e che lui le aveva chiesto che tipo di rapporti c’erano stati tra lei e Marcello nel periodo in cui aveva frequentato casa Cerullo. Lei gli aveva risposto con rabbia:

«Nessuno, sei pazzo?». E Stefano s’era affrettato a rispondere che le credeva, che non aveva mai avuto dubbi, che quella domanda gliel’aveva fatta solo per farle sapere che Marcello raccontava porcherie sul suo conto. Ma intanto aveva preso un’espressione svagata, di chi, anche senza volerlo, va dietro a scene di scempio che gli si formano nella testa. Lila se n’era accorta e avevano discusso a lungo, gli aveva confessato che anche lei sentiva un bisogno di sangue alle mani. Ma a che serviva? Parla e parla, alla fine avevano deciso di mettersi di comune accordo un gradino più su dei Solara, della logica del rione.

«Un gradino più su?» le chiesi meravigliata.

«Sì, ignorarli: Marcello, suo fratello, il padre, il nonno, tutti. Fare come se non esistessero».

Così Stefano aveva continuato col suo lavoro senza difendere l’onore della sua promessa sposa, Lila aveva continuato con la sua vita di fidanzata senza ricorrere al trincetto o ad altro, i Solara avevano continuato a diffondere oscenità. La lasciai, ero stupefatta. Cosa stava accadendo? Non capivo. Mi sembrava più chiaro il comportamento dei Solara, mi sembrava coerente con il mondo che conoscevamo fin da bambini. Lei e Stefano invece cosa avevano in mente, dove pensavano di vivere? Si comportavano in un modo che non si trovava nemmeno nei poemi che studiavo a scuola, nei romanzi che leggevo. Ero perplessa. Non reagivano alle offese, anche a quella veramente insopportabile che gli stavano facendo i Solara. Sfoggiavano gentilezza e cortesia con tutti, come se fossero John e Jacqueline Kennedy in visita a un quartiere di pezzenti. Quando uscivano a passeggio insieme, con lui che le teneva un braccio intorno alle spalle, sembrava che nessuna delle vecchie regole valesse per loro: ridevano, scherzavano, si stringevano, si baciavano sulle labbra. Li vedevo sfrecciare nella decappottabile, da soli anche la sera, sempre vestiti come attori del cinema, e pensavo: se ne vanno chissà dove senza sorveglianza, e non di nascosto ma col consenso dei genitori, col consenso di Rino, a fare le cose loro senza dar peso a ciò che dice la gente. Era Lila a piegare Stefano a quei comportamenti che ne stavano facendo la coppia più ammirata e più chiacchierata del rione? Era quella l’ultima novità che s’era inventata? Voleva uscire dal rione restando nel

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rione? Voleva trascinarci fuori da noi stessi, strapparci la vecchia pelle e imporcene una nuova, adeguata a quella che si stava inventando lei?

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47.

Tutto ritornò bruscamente nei binari consueti quando le voci su Lila arrivarono fino a Pasquale. Successe una domenica, mentre io, Carmela, Enzo, Pasquale e Antonio eravamo a passeggio lungo lo stradone. Antonio disse: «Mi hanno detto che Marcello Solara racconta a tutti che Lina è stata con lui».

Enzo non batté ciglio, Pasquale si accese subito: «Stata come?».

Antonio s’imbarazzò per la presenza mia e di Carmela e disse: «Hai capito».

Ci distanziarono, parlarono tra loro. Vidi e sentii che Pasquale s’infuriava sempre di più, che Enzo diventava fisicamente sempre più compatto, come se non avesse più braccia, gambe, collo, e fosse un blocco di materia dura.

Are sens